Quelle etichette sui prodotti sono un marchio anti-Israele
L’Ue imporrà diciture che indicano la provenienza dai Territori oltre la Linea Verde. Un pregiudizio evidente nei confronti dello Stato ebraico sotto attacco.
di Fiamma Nirenstein
È davvero sconcertante pensare che in questi giorni l’Unione Europea, mentre il Medio Oriente è percorso da ondate continue di barbarie che si infrangono solo contro i confini dell’unico Stato che rispetta i diritti umani dell’area, sia tutta intenta, con lavorio incessante, a preparare le «linee guida» per etichettare, sugli scaffali dei negozi, i prodotti di Israele provenienti dai Territori oltre la Linea Verde.
Le direttive dovrebbero essere applicate dal primo di gennaio, e una lista di norme dirà ai vari stati come applicare la loro «stella gialla», che sarà tale anche se certo avrà un’apparenza diversa, su frutta, verdura, prodotti tecnologici provenienti dalla Giudea e dalla Samaria.
Perché l’Ue si sta affrettando verso questo passo? È una specie di sindrome, di ossessione che possiede l’Unione, e che è difficile davvero collegare a un virtuoso disegno di pace. Checché ne abbia detto l’ambasciatore europeo in Israele, Lars Faaborg Andersen, la decisione non è affatto una «questione tecnica» che discende dalla dichiarazione del Parlamento Europeo che considera illegali gli insediamenti, e che quindi spingerà per forza avanti il processo di pace. Chi può veramente credere che, una volta che nei supermarket alcuni prodotti israeliani porterano i marchio d’infamia che l’Ue vuole imporgli, la pace avrà fatto un passo avanti? Si tratta di un passo invece improntato a cinismo, illegalità, ipocrisia e a una persistente antipatia nei confronti dello Stato d’Israele spinto avanti dalle Ong promotrici del Bds, il movimento di «disinvestimento e boicottaggio» che si dedica strategicamente a questo dai tempi della conferenza antisemita dell’Onu a Durban nel 2001 e preme le istituzioni. È una strada inventata nel 1948 dagli Stati arabi che stabilirono di boicottare Israele fin dalla sua fondazione.
Il cinismo europeo colpisce le migliaia di famiglie palestinesi che resteranno senza fonte di guadagno quando le imprese saranno costrette a chiudere; e colpisce il cittadino israeliano, e in particolare quello che vive nei «territori», che piange i morti dell’ondata di terrorismo di queste settimane. Proprio mentre continua l’incitamento a uccidere, l’Unione Europea dovrebbe far sentire ai palestinesi che uno Stato si deve meritare, che il prezzo dell’indipendenza è la rinuncia al terrorismo. Il labeling è l’anticamera di un boicottaggio di Israele non solo nei suoi prodotti, ma nella sua esistenza in assoluto. Invece di spingere avanti il processo di pace lo impedisce, facendo credere ai palestinesi che non ci sia bisogno di negoziato sui Territori, ma che essi gli appartengano come appartenevano alla Giordania prima del ’67. Invece le risoluzioni dell’Onu stesse stabiliscono che un accordo sia da stabilirsi tenendo conto della sicurezza di Israele, e non creando una situazione tipo quella di Gaza, sgomberata gratis per far posto a missili e terroristi in assetto di guerra.
L’Ue sa benissimo che oggi i palestinesi non offrono a Israele nessun riconoscimento dello Stato Ebraico, anzi, lo rifiutano, e allora perché pretendere lo sgombero? Inoltre, se l’Ue avesse davvero una politica che segnala i prodotti delle zone occupate, marchierebbe anche quelli del Sahara Occidentale occupato dal Marocco, e della parte di Cipro invasa dalla Turchia. Ma neanche ci pensa, come non lo fa per decine di altre zone contestate. E se solo Israele è nel mirino, la decisione dell’Ue è una decisione politica, tanto più odiosa dato che tutti ricordano come nella storia, dopo il labeling dei prodotti ebraici, sia venuto il labeling delle persone.
(Fonte: Il Giornale, 5 Novembre 2015)
#1Emanuel Baroz
Etichettatura dei prodotti israeliani: la UE arrogante viola il Diritto internazionale
di Sarah F.
La UE con l’introduzione a breve della etichettatura/marchiatura dei prodotti israeliani provenienti dalla West Bank viola il Diritto Internazionale. A sostenerlo è il politico olandese Bastian (Bas) Belder il quale fa notare come la UE non abbia usato lo stesso sistema con i prodotti provenienti dal Sahara occidentale occupato dal Marocco o dalla parte occupata di Cipro, invasa dalla Turchia. Non solo, Bastian (Bas) Belder parla di “atto palesemente discriminatorio” nei confronti di Israele e questo viola sia il Diritto Internazionale che diverse convenzioni europee.
Respinge le accuse mosse all’Europa da Bastian (Bas) Belder, l’attuale ambasciatore europeo in Israele, Lars Faaborg-Andersen, il quale intervistato da Arutz Sheva nega che la decisione di etichettare/marchiare i prodotti israeliani provenienti dalla West Bank sia “una decisione politica” ma sarebbe una “questione tecnica”.
Secondo Andersen «la decisione di etichettare i prodotti provenienti dalla West Bank è una decisione che risale al 2012 ed è una scelta tecnica prettamente giuridica che non si presta a trattative con Israele». Secondo Andersen «è una questione di Diritto, il Diritto dei consumatori europei ad essere informati sulla provenienza dei prodotti che acquistano», Diritto che però molto stranamente viene applicato solo contro Israele come fa notare anche il professor Eugene Kontorovich della Northwestern University.
A dare man forte ad Andersen è l’ambasciatore francese in Israele, Patrick Maisonnave, il quale sempre intervistato da Arutz Sheva afferma che «la scelta di etichettare/marchiare i prodotti israeliani provenienti dalla West Bank è la logica conseguenza di una dichiarazione del Parlamento Europeo che considera illegali gli insediamenti». E quando i giornalisti di Arutz Sheva gli fanno notare che i primi a essere danneggiati da questa scellerata scelta europea sono i lavoratori palestinesi l’ambasciatore francese svia la domanda e parla di “un danno limitato per l’economia israeliana” ma non dei danni sui lavoratori e sulla economia palestinese. Danni che invece ci sono e piuttosto importanti, aggravati oltre tutto dalla attuale ondata di violenza palestinese che sta investendo i cittadini israeliani. Stime esatte ancora non ce ne sono, ma si pensa che saranno qualche migliaio le famiglie palestinesi che perderanno gli introiti derivanti dal lavoro svolto nelle aziende israeliane che producono nella West Bank rimanendo senza alcuna entrata finanziaria. Se questo è il modo europeo di aiutare i palestinesi…
http://www.rightsreporter.org/etichettatura-dei-prodotti-israeliani-la-ue-arrogante-viola-il-diritto-internazionale/
#2Emanuel Baroz
4 novembre 2015 – Imporre etichette differenziate sulle merci prodotte da ditte ebraiche con sede in Cisgiordania, come sembra intenzionata a fare l’Unione Europea, equivale a boicottare Israele in quanto tale e colpisce l’economia palestinese. Lo ha detto martedì la vice ministra degli esteri israeliana Tzipi Hotovely. “Il nostro concetto è molto semplice – ha detto Hotovely – Boicottare i beni prodotti in Giudea, Samaria, Gerusalemme est e Golan significa boicottare Israele: noi non vediamo alcuna differenza tra la zona industriale di Barkan e la zona industriale di Haifa”. Hotovely ha spiegato che i parchi industriali in Cisgiordania, dove vengono prodotte molte delle esportazioni verso l’Europa, impiegano israeliani e palestinesi che lavorano insieme, e ha citato una fabbrica che ha visitato a Barkan (vicino ad Ariel, Cisgiordania) dove il 60% dei dipendenti sono palestinesi, molti dei quali in posizioni dirigenziali. “L’etichettatura differenziata danneggerebbe 10.000 famiglie palestinesi senza fare granché contro il sistema economico in Israele che è molto più forte”, ha concluso la vice ministra. Anche il leader dell’opposizione Isaac Herzog si è detto totalmente contrario al previsto provvedimento europeo, definendolo una mossa “dannosa e superflua, che serve solo a prolungare odio e conflitto nell’area: un atto violento degli estremisti che vogliono peggiorare la situazione, e l’Unione Europea sta cadendo nella trappola che questi le hanno teso”. Dopo aver discusso la questione con l’ambasciatore britannico in Israele David Quarrey, Herzog ha detto che l’etichettatura discriminatoria “è un premio che l’Europa sta pagando al terrorismo, un errore che non aiuterà a realizzare la soluzione a due stati, e causerà invece gravi danni economici a decine di migliaia di palestinesi impiegati nelle fabbriche in Cisgiordania a condizioni contrattuali adeguate e che mantengono le loro famiglie. La mia posizione sulla necessità di separarci dai palestinesi è nota – ha concluso Herzog – ma non ci si arriverà mai con questo genere di manovre”.
(Fonte: Israele.net)
#3Giacomo Morpurgo
Siamo di nuovo ai tempi di Hitler e Mussolini.Gli ebrei non tagliano le teste, i mussulmani
lo fanno spesso, quindi e` meglio stare con loro