La “guerra a Israele” passa da Palazzo Berlaymont. Ecco chi c’è dietro
Dagli “eminenti” ai burocrati fino al pensatoio finanziato da Soros. Chi lavora alle sanzioni allo stato ebraico Netanyahu e la “macchina Ue”.
di Giulio Meotti
Ogni giorno sembra che ministri europei annullino viaggi a Gerusalemme. E’ successo a quello austriaco dell’Economia, Reinhold Mitterlehner, e a quello degli Esteri belga, Didier Reynders, che ha avuto un ruolo centrale nella decisione di Bruxelles di marchiare i prodotti israeliani.
Il Consiglio degli Affari esteri dell’Unione europea starebbe per adottare una risoluzione secondo cui tutti gli accordi economici e politici stipulati fra Israele e la Ue dal 1995 a oggi valgono soltanto per i confini pre-1967. Sarebbe un colpo terribile per la diplomazia israeliana (si applica anche a Gerusalemme). “La Ue continuerà a distinguere in modo inequivocabile ed esplicito fra Israele e tutti i territori occupati da Israele nel 1967“, recita la bozza del documento di cui si è fatto latore a Bruxelles il governo svedese, il cui ministro degli Esteri Margot Wallström ha persino ordinato un’inchiesta sull’uccisione di terroristi palestinesi durante gli assalti ai civili israeliani (domenica una madre israeliana è stata assassinata in casa di fronte ai figli nell’insediamento di Otniel).
Il premier israeliano Netanyahu ha detto che Israele non ha problemi con gli stati europei, ma con la “macchina della Ue”. Chi sono gli uomini e le agenzie di Bruxelles che gestiscono questa “guerra a Israele”? Su tutti, Christian Berger, diplomatico austriaco direttore della sezione mediorientale presso la European External Action Service, braccio operativo del ministro degli Affari esteri della Ue, Federica Mogherini, che pare fosse comunque contraria alla marchiatura dei prodotti. E’ Christian Berger ad aver lavorato ai principali documenti punitivi di Bruxelles nei confronti dello stato ebraico.
Il pregiudizio antisraeliano dell’austriaco Berger deriva dal periodo trascorso a Gaza, dal 1988 al 1994, a lavorare con l’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Collaboratore di Berger è un italiano, Leonello Gabrici. E’ stato Berger a formulare il “documento delle sanzioni”, che prevede il ritiro degli ambasciatori europei da Israele se la costruzione degli insediamenti avanza nelle “aree sensibili” di Cisgiordania e di Gerusalemme Est, come nella zona E1 tra Ma’aleh Adumim e Gerusalemme o nel quartiere di Givat Hamatos. Un documento di due pagine che include i “bastoni” da usare contro Israele e le “carote” da offrire ai palestinesi. Si va dalla proposta di riconsiderare l’impegno dell’Unione europea a non partecipare ai dibattiti in seno al Consiglio per i diritti umani dell’Onu fino al divieto di ingresso in Europa a determinati “coloni ebraici”.
Altra fonte di questi rapporti antisraeliani è la European Heads of Mission a Gerusalemme e Ramallah, detta “HoMs”. A fine anno, ogni anno, questa agenzia produce un rapporto su Israele che invia alla Commissione. Poi ci sono gruppi di pressione di ex alti funzionari europei, come gli “Eminenti europei”, fra cui Javier Solana, Miguel Moratinos e Ruprecht Polenz, ex segretario generale della Cdu tedesca di Angela Merkel. All’origine delle direttive antisraeliane ci sono poi centri di ricerca come lo European Council on Foreign Relations (Efcr), finanziato dal magnate George Soros e dalla fondazione tedesca Friedrich Ebert Stiftung. Nel luglio di un anno fa, proprio questo pensatoio aveva suggerito alla Ue una serie di sanzioni contro Israele. Il documento “EU Differentiation and Israeli settlements” è di un ricercatore italiano, Mattia Toaldo. Fondato nel 2007 dal premio Nobel finlandese Martii Ahtisaari e da Joschka Fischer, l’Efcr riceve fondi anche dai governi europei più impegnati contro Gerusalemme. Il cofirmatario del paper di Toaldo, Hugh Lovatt, twitta da “Electronic Intifada” e da altri movimenti antisraeliani, mentre un altro ricercatore, Dimi Reider, promuove il boicottaggio culturale di Israele. Questo gruppo ha proposto alla Commissione Ue altre sanzioni contro Israele, per punire le banche israeliane che offrono mutui ai proprietari di case in Cisgiordania e le università israeliane con sede nei Territori.
Assieme al Palais des Nations, che a Ginevra ospita il Consiglio dei diritti umani dell’Onu a dir poco ostile a Israele, adesso la guerra allo stato ebraico passa anche da un altro sontuoso monumento alla diplomazia, il Palazzo Berlaymont di Bruxelles, dove ha sede la Commissione europea.
(Fonte: Il Foglio, 19 Gennaio 2016)
#1Emanuel Baroz
19 gennaio 2016 – La risoluzione approvata lunedì dai 28 ministri degli esteri dell’Unione Europea “esprime l’impegno a garantire che tutti gli accordi tra lo stato di Israele e la UE indichino inequivocabilmente ed esplicitamente la loro inapplicabilità ai territori occupati da Israele nel 1967”, pur affermando che questa politica “non costituisce un boicottaggio di Israele, cosa cui l’Unione Europea si oppone con forza”. Secondo la ong israeliana “We Have Legal Grounds”, la decisione della UE “viola i diritti legali dello stato di Israele e i principi stabiliti negli accordi di Oslo, di cui pure l’Unione Europea sarebbe garante”. La cosiddetta linea del ’67, spiega la ong in una nota, non è altro che la linea di cessate il fuoco del ’48 e la UE sa bene che gli armistizi firmati a Rodi nel ‘49 affermano chiaramente che la quella linea non costituisce in alcun modo una frontiera politica o statale, cosa che la UE ha scelto di ignorare come se spettasse a lei stabilire le frontiere di Israele quando invece gli stessi accordi di Oslo stabiliscono il principio di base secondo cui la questione dei confini dovrà essere decisa solo mediante il negoziato fra le parti.
(Fonte: Israele.net)
#2Parvus
Una mafia finanziata dal petroldollaro.
#3Daniel
L’Ue spara su Israele: «I Territori palestinesi sono un altro Paese»
di Giuseppe Marino
ROMA – Da Bruxelles una nuova cannonata contro Israele. Se serviva la conferma che il vento della politica estera europea soffia sempre più in direzione contraria a Gerusalemme, ieri è arrivata, nero su bianco. Sotto forma di conclusioni del Consiglio degli affari esteri dell’Ue presieduto da Federica Mogherini. Nel documento, l’organismo che rappresenta i ministri degli Esteri europei stabilisce il principio che «tutti gli accordi tra lo Stato di Israele e l’Ue dovranno inequivocabilmente ed esplicitamente indicare l’inapplicabilità nei territori occupati da Israele nel 1967». La dichiarazione, auspicata da Hamas e proposta da Svezia e Irlanda, è così perentoria e polemica da spingere i ministri a specificare che «non si tratta di un boicottaggio di Israele». A quello in realtà l’Europa ci aveva già pensato col precedente provvedimento, quello che impone di specificare nell’etichettatura dei prodotti la provenienza dai Territori palestinesi. Lo statement di ieri ha però un significato politico molto forte perché, anche se le pressioni israeliane sono riuscite a evitare una posizione ancora più dura, cioè porre come obiettivo della politica estera Ue la divisione tra Israele e i Territori, resta il fatto che questa divisione per la prima volta viene certificata e può diventare un precedente, un esempio anche per altri Paesi.
Da Israele non nascondono il fastidio: «In quel documento – dice Amit Zarouk, portavoce dell’ambasciata israeliana in Italia – quando c’è da condannare un’azione di Israele, viene citata esplicitamente, quando si condannano azioni palestinesi si parla di “entrambe le parti”».Una classica ipocrisia delle burocrazie europee che da sempre fa infuriare Gerusalemme. Per di più la mossa di Bruxelles arriva proprio mentre in Israele si moltiplicano gli attentati terroristici palestinesi.
(Fonte: il Giornale, 19 Gennaio 2016)
#4Parvus
L’unica difesa contro la mafia prezzolata antisionista, è l’opinione pubblica.
Israele deve dire in modo inequivocabile all’opinione pubblica europea che non tiene occupata una parte della Cisgiordania per sfruttarne le miniere di diamanti o i giacimenti d’oro. La tiene occupata unicamente come scudo alla criminale violenza arabopalestinese, e se gli arabopalestinesi rinunciassero alla violenza, nei fatti, non a parole, lo stato ebraico sgombererebbe immediatamente la ragione, così come non l’avrebbe mai occupata se non fosse stato per rispondere a un aggressione araba.