Duetto D’Alema-Tariq
L’ex premier e il predicatore Ramadan. In nome della comune battaglia contro “gli islamofobi”. Dopo i convegni con il furbastro Ramadan, l’articolo a due mani sull'”islam religione europea”.
di Giulio Meotti
“Do you trust this man?”, ha chiesto il quotidiano inglese Independent su Tariq Ramadan, mentre Bernard Kouchner, fondatore di Medici senza frontiere ed ex ministro degli Esteri francese, lo definiva “un uomo estremamente pericoloso”. Il compianto Fouad Ajami diceva che “Ramadan non è altro che un frammento staccatosi dall’antico blocco: la Fratellanza musulmana”. E quando Ramadan fu invitato all’Università di Aosta, Luciano Caveri, allora presidente ulivista della regione, bloccò la lezione: “Mio padre è stato ad Auschwitz, dovrei accogliere chi sostiene che Israele va distrutto?“.
Non la pensa cosi Massimo D’Alema. Cosa possono avere in comune un ex primo ministro e ministro degli Esteri italiano, un ex comunista dalle impeccabili credenziali laiche, e un islamologo ginevrino dalla barba ben curata e per il quale l’Europa è “dar al shahada”, terra di missione religiosa? Molto, a giudicare dalle intense attività congiunte. Lo scorso dicembre all’Università di Lovanio (posto edificante, il Belgio, per elogiare il multiculturalismo), Ramadan e D’Alema hanno tenuto una conferenza in francese. Protagonista del flirt dalemian-ramadaniano la Foundation for European Progressive Studies, di cui D’Alema è presidente. Adesso D’Alema e Ramadan firmano persino un editoriale assieme sul quotidiano belga Le Soir. “Carta bianca” per parlare di islam e immigrazione. L’ex premier e il nipote del fondatore dei Fratelli musulmani attaccano l’idea che l’Europa diventi “una fortezza tagliata fuori dal mondo”, dicono che i flussi migratori “non possono essere fermati”, si compiacciono che l’Europa “sta diventando una società multietnica, multireligiosa, multiculturale e multilingue”. Celebrano I”‘ islam religione europea”.
Nell’articolo su Le Soir, Massimo D’Alema e Tariq Ramadan dicono che “non è che non siamo preoccupati per la sicurezza dei nostri cittadini, ma non dobbiamo dimenticare che l’educazione e la diversità sociale sono elementi essenziali per consolidare pace e convivenza“. “Come rispondere all’islamofobia“, chiedono all’unisono? Ricordando che “i nostri concittadini musulmani sono in prima linea nella lotta contro l’estremismo violento“. Poi l’affondo: “Ironia della sorte, gli estremisti islamici e gli europei islamofobici condividono la stessa idea che l’islam è violenza“. Abbiamo bisogno di un “islam europeo” per respingere entrambi, l’Isis e gli xenofobi, e quell’islam europeo “sarebbe un potente antidoto al fanatismo religioso che esiste in tutte le religioni“. Infine il panegirico che manderebbe in estasi qualunque imam con manie di grandezza: “Gli stati dell’Unione e le loro istituzioni devono riconoscere che l’islam è una religione europea“. Forse D’Alema sarà stato attratto dall’immagine dell’amabile tradizionalista che offre sempre Ramadan, il brillante conversatore, l’alfiere della xenofilia, l’altermondista che si appella alla libertà religiosa e civile, il seduttore dei progressisti, il sociologo spirituale. Comunque, nell’articolo su Le Soir la strana coppia si ferma lì.
Tariq Ramadan invece no. E in una recente conferenza a Saint-Denis, la banlieue di Parigi dove sono sepolti i re di Francia e vivevano anche gli autori degli attentati del 13 novembre nella capitale francese, Ramadan ha detto che “le fonti dell’islamofobia le conosciamo: l’ottanta per cento sono discorsi legati ciecamente a organizzazioni sioniste“.
Alcuni giorni fa il quotidiano francese Figaro si è imbucato a una conferenza di Ramadan organizzata al Grand Palais di Lilla, davanti a un pubblico di tremila persone, tra cui molte donne velate e uomini barbuti che indossavano il gamìs (l’abito prediletto dai salafiti). Colui che ha ricevuto il nome di Tariq ibn Ziyad, l’architetto della conquista araba della Spagna nell’VIII secolo, ha detto che “l’islam è una religione di lingua francese” e che “il francese è una lingua dell’islam”. Forse D’Alema non se n’è ancora accorto, ma per dirla con lo studioso Jacques Jomier, l’obiettivo di Tariq Ramadan “non è modernizzare l’islam, ma islamizzare la modernità”. E in questo caso la celebre regola non vale: cambiando l’ordine degli addendi, il risultato cambia. Eccome.
(Fonte: Il Foglio, 27 Febbraio 2016)