Violato il sito della biblioteca ebraica di Venezia. Gruppo islamico inneggia al Jihad
Gli hacker del «cyber califfato» a Venezia. Indaga la procura antiterrorismo.
di Eleonora Biral
Venezia, 15 Marzo 2016 – La firma è quella di un gruppo che già in passato finì al centro di un’inchiesta: il «Tunisian Fallaga Team». E il messaggio è contro l’occidente: «Perché ci attaccano? Voi che vi definite antiterroristi avete creato il terrorismo e occupate il nostro paese per rubare la nostra ricchezza».
Questa volta a finire nel mirino del collettivo tunisino che denuncia i «crimini» contro i musulmani è stato il sito internet della biblioteca archivio Renato Maestro della comunità ebraica di Venezia. II portale ieri è stato vittima di un attacco hacker. «Se n’è accorto il tecnico che stava lavorando al sito al mattino», spiega Gadi Luzzatto Voghera, direttore della biblioteca. «Stava aggiornando i contenuti e ha visto che il sito era oscurato. Non si è trattato del solito dispetto informatico».
Già, perché la home page si era trasformata in una schermata a sfondo nero coperta di scritte in lingua inglese che rimandavano a un portale di propaganda con video e interviste. Il sito web della biblioteca era già stato hackerato in un anno fa, ma si trattava solo di un blocco «innocuo» per sospenderne la visibilità. «Questa volta la home page è stata sostituita per alcune ore da un sito inneggiante agli attacchi islamisti in Tunisia e proclamante la lotta per la liberazione della Palestina» precisa Voghera.
Il Fallaga Team, per la «cyber resistenza» tunisina, denuncia «il terrorismo dei sionisti contro i musulmani in Palestina, delle forze russe in Siria, di quelle americane in Afghanistan» e così via. «Perché? Perché l’Islam è la vera religione?». E continua: «Difenderò la mia patria, i miei fratelli e le mie sorelle fino alla morte e non mi interessa se mi chiamerai terrorista».
Un messaggio chiaro, firmato da un gruppo che nell’estate del 2015 perse sei membri, arrestati in Francia perché ritenuti responsabili di attacchi sul web. Un team denominato Fallaga, che sta per «partigiano», termine che trova le sue radici nella resistenza anticoloniale francese in Algeria. Gli investigatori all’epoca, secondo quanto riportò la stampa francese, ritennero che il Fallaga fosse una creazione del cyber califfato.
E quello alla biblioteca Renato Maestro di Venezia non è stato l’unico attacco in Italia. Già nei giorni scorsi il Fallaga Team aveva boicottato il sito di Casa Artusi, un centro enogastronomico di Forlì.
E nei mesi passati non sono mancati attacchi al sito dell’aeroporto di Perugia intitolato a San Francesco d’Assisi e a portali in provincia di Genova. «Si tratta di una minaccia violenta e mirata, dal sapore apertamente antisemita», dice Voghera. «Non riusciamo a capire perché abbiano attaccato il sito della biblioteca e non quello della comunità ebraica».
Secondo il direttore, gli hacker potrebbero aver agito approfittando del cinquecentesimo anniversario del ghetto ebraico di Venezia e andando così a caccia di visibilità per la propaganda.
Il sito è tornato online nella stessa mattinata, sistemato dal tecnico che lo aveva scoperto. Tutto il materiale è stato trasmesso alla Digos di Venezia che sta indagando nel massimo riserbo coordinata dalla procura lagunare.
«Ho richiesto alla Digos una dettagliata informativa sull’argomento» ha spiegato il procuratore aggiunto antiterrorismo Adelchi d’Ippolito. La relazione dovrebbe finire sul suo tavolo già questa mattina, mentre dalla comunità ebraica annunciano che continueranno nel loro lavoro.
«Da molti anni la nostra istituzione mette a disposizione materiali legati alla storia dell’ebraismo veneziano, promuovendo iniziative legate alla convivenza delle culture», conclude Voghera. «Continueremo a fare il nostro lavoro perché lo consideriamo fondamentale per la crescita di una civiltà in cui le diverse componenti della società si confrontano. La violenza non rientra nella nostra prospettiva, ma non accettiamo che si impedisca ad altri di consultare gli strumenti che mettiamo a disposizione».
(Fonte: Corriere del Veneto, 15 Marzo 2016)