Olimpiadi Rio 2016: judoka egiziano perde e rifiuta la stretta di mano ad avversario israeliano

 
Emanuel Baroz
13 agosto 2016
4 commenti

Egiziano contro israeliano: non gli dà la mano

Un altro caso che discrimina Tel Aviv: nel judo El Shehaby rifiuta di salutare Sasson.

di Gian Luca Patini

olimpiadi-rio-2016-judo-israele-egitto-boicottaggio-focus-on-israelRio de Janeiro, 12 Agosto 2016 – Ancora una volta la politica scende in campo all’Olimpiade, pare con la complicità dei social network che sempre di più stanno condizionando gli atleti e anche il tifo in questi Giochi. Il judoka egiziano Islam El Shehaby, categoria 100 kg, dopo aver perso il suo match contro l’israeliano Or Sasson, ha rifiutato di dargli la mano come è consuetudine planetaria del judo, una volta terminato l’incontro. El Shehaby, già sul podio nel Mondiale del 2010 avrebbe ricevuto pressioni da gruppi islamici egiziani per non gareggiare contro il judoka con la Stella di David come già fatto da altri rappresentanti del mondo arabo in passato. Lui è, invece, sceso sul tatami, ma dopo la sconfitta si è fermato e non ha accettato la mano dell’israeliano. Rifiutando anche di commentare, con i media del suo paese l’accaduto. «Sono situazioni molto personali, non ne voglio parlare», avrebbe detto El Shehaby al termine del combattimento che potrebbe anche essere l’ultimo della sua carriera. A 34 anni parrebbe, infatti intenzionato a lasciare il judo.

Non è questo l’unico episodio accaduto a Rio di discriminazione nei confronti di rappresentanti di Israele. Nei giorni scorsi il capo delegazione del comitato olimpico libanese è stato convocato dagli organizzatori dei Giochi per una lavata di capo: il giorno della cerimonia d’apertura, infatti, era stato chiesto a hbanesi e israeliani di condividere un pullman per raggiungere il Maracanà. Il dirigente libanese si era rifiutato. E così la delegazione israeliana aveva raggiunto lo stadio con un altro mezzo, mentre ai libanesi e – indirettamente a tutti gli altri stati che non riconoscono lo stato ebraico – era stato mandato un monito per cui non discriminassero ulteriormente gli atleti israeliani durante questi Giochi di Rio. Un paio di giorni dopo un altro episodio «strano» o quantomeno sospetto era accaduto ad una saudita, ancora nel judo. Joud Fahmy, questo il suo nome, si era ritirata da un match contro il rappresentante delle Isole Mauricius. Si era avanzata l’ipotesi che questo ritiro fosse viziato dal fatto che in caso di vittoria il saudita sarebbe andato contro un’altra judoka israeliano, Gili Cohen. Ma non ci sono conferme ufficiali perché anche Fahmy non ha mai ammesso la scelta.

(Fonte: La Gazzetta dello Sport, 13 Agosto 2016)

Nella foto in alto: il judoka israeliano Or Sasson mentre proge la mano al suo avversario Islam El Shehaby, appena battuto, mentre l’egiziano rifiuta di contraccambiare il gesto

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  • #1Emanuel Baroz

    Ori Sasson, una medaglia di bronzo contro la cultura dell’odio

    di Riccardo Ghezzi

    Ori Sasson, judoka israeliano, ha vinto la medaglia di bronzo nella categoria +100 kg uomini. Si tratta della seconda medaglia israeliana alle olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. La precedente è arrivata sempre dal judo, ancora un bronzo: ad aggiudicarselo era stata Yarden Gerbi, per la categoria 63 kg donne.

    Al di là del dato sportivo, il bronzo di Ori Sasson ha una valenza simbolica. E’ una medaglia contro la cultura dell’odio che troppi atleti arabi hanno mostrato nei confronti di Israele in quest’ultima edizione delle Olimpiadi.

    Un odio che non ha nulla a che vedere con lo spirito sportivo e olimpico. Tutto è cominciato dagli atleti libanesi che hanno impedito agli israeliani di salire sul loro stesso pullman. Poi è stata la volta di una judoka saudita, Joud Fahmy, sospettata di aver perso apposta per evitare di incontrare l’israeliana Gili Cohen nel turno successivo.

    Infine, l’episodio probabilmente più grave: al termine dell’incontro valevole per i quarti di finale, il judoka egiziano Islam El Shehaby ha rifiutato di stringere la mano all’israeliano Ori Sasson dopo essere stato sconfitto da quest’ultimo.

    Tre episodi che rappresentano un campanello d’allarme. Atleti arabi e musulmani che rifiutato di salire sullo stesso pullman, affrontare o stringere la mano ad israeliani, ignorando lo spirito sportivo e la cultura delle olimpiadi. Rischiando squalifiche, certamente, ma anche consapevoli di essere ben visti dai loro governi. Probabilmente otterranno benefici per i loro atteggiamenti e saranno apprezzati in patria, cosa evidentemente più importante dello sport. Non è certo questo che il mondo vuole vedere durante le Olimpiadi.

    Ecco perché la medaglia di bronzo di Ori Sasson, dopo il “gran rifiuto” dell’atleta egiziano, rappresenta una rivincita dello sport e della cultura delle olimpiadi contro l’odio di troppi atleti arabi e islamici che hanno usato la manifestazione sportiva come vetrina anti-israeliana.

    Non sappiamo se ci saranno altri episodi “antisionisti”, ci auguriamo di no. Per ora, le due medaglie di bronzo nel judo hanno restituito ad Israele ciò che scorrettezza e odio hanno tolto in queste Olimpiadi.

    http://www.linformale.eu/3842-2/

    14 Ago 2016, 17:53 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    Lo sgarbo antisportivo del judoka egiziano

    El Shehaby ha disonorato solo se stesso quando alla fine dello scontro non ha stretto la mano all’ atleta israeliano che lo ha battuto

    di Davide Frattini

    La visita a Gerusalemme un mese fa del ministro degli Esteri egiziano è stata la prima in nove anni. Sameh Shoukry ha discusso con il premier israeliano di strategie e preoccupazioni comuni (la Striscia di Gaza, il far west nel Sinai). Seduto sul divano con Benjamin Netanyahu, ha anche guardato la finale degli Europei.

    Le foto dell’incontro — i sorrisi davanti allo schermo piatto del televisore — sono state pubblicate al Cairo. Quando è tornato in patria, Shoukry è stato processato, almeno davanti al tribunale di Facebook, per tradimento. Gli stessi giudici e giustizieri che in queste settimane hanno incitato il judoka egiziano Islam El Shehaby a rifiutare di combattere con l’israeliano Or Sasson. «Se perdi, disonori un’intera nazione» ha scritto un commentatore.

    Infatti El Shehaby ha perso e ha disonorato solo se stesso (e il codice di un’arte marziale come il judo) quando alla fine dello scontro non ha stretto la mano all’altro atleta. Scaraventato a terra un paio di volte durante la sfida, ha saputo rispondere solo con una mossa: insultare a lotta ormai finita. Richiamato dal giudice sul tatami per il saluto rituale, ha piegato di poco la testa, mentre l’etichetta dei samurai richiederebbe un inchino. Neppure il pubblico a Rio de Janeiro si è inchinato al suo sgarbo, l’antisportivo egiziano è stato sommerso dai fischi.

    Israele e l’Egitto sono in pace dal 1979. Anwar Sadat ha firmato — e per questo è stato ucciso — un accordo che riconosce l’esistenza dello Stato dall’altra parte della frontiera. Un’intesa che il gesto di El Shehaby e le urla digitali dei suoi sostenitori vorrebbero cancellare. Gli atleti arabi (sempre a Rio la delegazione libanese non ha voluto condividere un autobus) e iraniani proclamano che i loro boicottaggi sono un gesto simbolico contro il trattamento dei palestinesi, una protesta politica attraverso lo sport. Sembra piuttosto che vogliano rifiutare il diritto a esserci degli israeliani. In Medio Oriente o all’Olimpiade.

    http://www.corriere.it/cultura/16_agosto_13/sgarbo-antisportivo-judoka-egiziano-e0891d6c-60be-11e6-92f0-b1559c509232.shtml

    14 Ago 2016, 17:54 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    El Shehabi rincara la dose: “Non mi si chieda di stringere la mano a un israeliano”

    Ori Sasson judoka israeliano si presenta per salutare El Shehabi (Egitto) e quest’ultimo al termine della gara gli rifiuta la mano.

    E’ ufficiale: la mancata stretta di mano (al termine della gara) da parte del judoka El Shehabi (Egitto) nei confronti di Ori Sasson (Israele – nella foto in primo piano) non era un problema di “timidezza”. Quanto piuttosto di antisemitismo abbinato ad anti-sportività diffusa. Peccato che la FederJudo egiziana al momento taccia. Il problema però permane ed è anche molto grave, perché gli atti di intolleranza da parte di atleti arabi nei confronti dei “colleghi” olimpici israeliano non sono più eccezioni, bensì la triste regola. In un mondo perfetto El Shehabi sarebbe punito dalla sua stessa federazione e sbattuto fuori del villaggio olimpico perché in netto contrapposizione con i principi e valori olimpici.

    Si difende il judoka egiziano Islam El Shehaby, contestato dal Comitato Olimpico Internazionale e non solo per essersi rifiutato di stringere la mano al rivale israeliano Or Sasson che lo aveva battuto nella gara olimpica di ieri. Citato dalla rivista L’Esprit du Judo, l’atleta egiziano sostiene infatti di aver rispettato le regole dello sport e di non aver alcun obbligo di stringere la mano al suo rivale. Ma, allo stesso tempo, dichiara che non gli si può chiedere di stringere la mano di un israeliano. “Stringere la mano al tuo rivale non è un obbligo scritto nelle regole del judo. Avviene tra amici e lui non è un mio amico”, ha detto El Shehaby, 32 anni. “Non ho alcun problema con gli ebrei o con persone di altra religione o di altri credo. Ma per ragioni personali non mi si può chiedere di stringere la mano a chiunque venga da questo Stato, soprattuto di fronte al mondo intero”.

    Dopo Yarden Gerbi che martedì sera si era aggiudicata la medaglia di bronzo nella prova di judo, ieri sera l’israeliano Ori Sasson (proprio l’atleta israeliano offeso da El Shehabi) ha conquistato un altro bronzo sempre nella stessa specialità sportiva.

    Sasson prima di vincere la medaglia aveva battuto precedentemente (nei 32imi) l’avversario egiziano che rifiutandosi di stringergli la mano dopo l’incontro aveva scatenato lo sdegno del pubblico con una bordata di fischi perdendo sia come atleta che come uomo e offendendo profondamente lo spirito di quest’antica arte marziale.

    Il neo vincitore, invece, con la medaglia di bronzo al collo ha dichiarato il suo amore per Israele.

    «Questa vittoria la dedico a tutti gli israeliani e mi fa piacere aver dato tanto orgoglio a Israele. Non potrei vivere in un altro posto al mondo. Dovunque io vada, poi non vedo l’ora di tornarmene a casa nella mia Israele».

    (Fonte: Sport Economy, 13 Agosto 2016)

    14 Ago 2016, 17:57 Rispondi|Quota
  • #4Emanuel Baroz

    Vergogna, a Rio vince l’odio per gli ebrei

    Il mondo è strabico: non manda via a calci quelli che infrangono le regole dei Giochi.

    di Fiamma Nirenstein

    Ma come mai il mondo non si alza tutto in piedi gridando, questo mondo antirazzista, antiapartheid, in piena festa globalista alle Olimpiadi, perché è così strabico da riuscire (a ragione) a cacciare un atleta dopato che rompe il codice d’onore dello sport, e non manda via a calci quelli che ne infrangono la regola fondamentale di parità etnica e religiosa discriminando gli israeliani come lebbrosi, rifiutandosi di toccarli, di condividere con loro uno spazio, di competere? Oramai siamo a tre episodi ripugnanti di estremismo islamico, e nessuno alza un dito: ieri l’egiziano Islam el Shehabi, per cui evidentemente, come per tanti altri sui conterranei, non è mai stata firmata la pace con Israele del 1979 (parliamo di quasi quarant’anni fa!), ha rotto tutte le tradizione del judo rifiutandosi di stringere la mano al ragazzo israeliano che l’aveva battuto.

    Il pubblico ha protestato, i giudici hanno chiesto a el Shahabi di fare l’inchino rituale e lui l’ha fatto: un inchino si fa da lontano. Ma toccare un ebreo, che schifo, che orrore. Domenica era stata la volta di Joud Fahmi, anche lei judoka, la quale si è spinta a perdere apposta lo scontro precedente a quello che l’avrebbe inevitabilmente portata a battersi con Gili Cohen, israeliana. Cohen? Si chiama Cohen? Siamo pazzi? E pensare che i sauditi pochi giorni fa erano a Gerusalemme per delle riunioni in cui si discute di rapporti migliori, di piani di pace, di strategia. Ma altra cosa è la gente di un Paese integralista islamico rinunciare all’antisemitismo che impregno di sé tutto il suo mondo, con cui è stato educato dalla più tenera infanzia. Il primo episodio avrebbe già dovuto allarmare e destare una reazione immediata: gli atleti israeliani stanno per salire sull’autobus che li deve portare allo stadio Maracanà, all’apertura, proprio il primo giorno che dovrebbe essere tutto spirito sportivo e entusiasmo e gli atleti libanesi si parano davanti alla portiera impedendogli di salire. Condividere un bus con gli ebrei? IL Libano è il Paese degli hezbollah? E quando mai? Gli autobus sono un ben noto luogo di apartheid, ci sale solo chi è puro e degno. Non gli atleti israeliani. Non si comprende che il fatto che il mondo intero si mostri indifferente, che di nuovo Europa, America, i paesi occidentali in genere non attribuiscano nessuna importanza per questo evento è di fatto la copia dell’atteggiamento che fu preso a Monaco quando l’intera squadra israeliana fu sterminata con orribili torture da un commando di terroristi palestinesi? Anche allora i giochi proseguirono come se niente fosse accaduto. Non si capisce che non reagire a un atteggiamento integralista e estremo di odio verso gli ebrei apre la strada all’odio integralista e estremo verso tutto l’Occidente? In questi giorni l’Isis e altri gruppi terroristici hanno cosparso i network di richieste ai loro sostenitori di compiere attacchi alle Olimpiadi: «Un piccolo attacco col coltello e con ciò che trovate a Rio avrà maggiore effetto di qualsiasi altra azione nel mondo» spiegano i centri del terrore. È lo stesso ragionamento che, mutatis mutandis, ha portato gli atleti arabi a discriminare Israele. E le federazioni sportive che fanno? Che fanno i Paesi che hanno i loro atleti in gara a Rio? Si batteranno allegramente con i judoki antisemiti? Non capiscono che questa è una condanna che comminano a sé stessi?

    (Fonte: Il Giornale, 13 Agosto 2016)

    14 Ago 2016, 17:58 Rispondi|Quota
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