Incitazione al martirio non è terrorismo, dice la Cassazione
Il solo indottrinamento teorico alla causa jihadista, non seguito da attività materiale di addestramento al martirio degli adepti, non basta a configurare il reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale
Secondo la Cassazione il proselitismo e l’incitazione al martirio in nome del proprio credo non costituisce reato; nello specifico, i giudici si sono espressi sul caso dei tre tunisini e un magrebino intercettati dagli inquirenti e accusati di pianificare un attentato terroristico. Il tribunale, in merito alla sentenza di assoluzione emessa lo scorso 14 luglio sui quattro jihadisti della moschea di Andria, rimarca tra le ragioni la disgiunzione tra l’attività di reclutamento e quella di addestramento degli aspiranti combattenti.
L’indottrinamento inteso come predicazione teorica e non finalizzato alla realizzazione di attentati, spiegano i giudici, non rappresenta una reale minaccia per la collettività. La motivazione della sentenza è giustificata dal solo proselitismo, che non è condannabile, secondo i supremi giudici. Nel caso dei quattro uomini arrestati, i filmati girati con scopi di propaganda non costituiscono elementi sufficienti per sostenere l’accusa di terrorismo. Inoltre, il tempo intercorso tra l’epoca dei dialoghi intercettati e l’arresto, avvenuto nel 2013, nel quale non si è verificato alcun atto di terrorismo, gioca a favore della decisione dei giudici. Il tunisino Hosni Hachemi Ben Hassen, iman di Andria, dopo l’assoluzione, ad agosto è stato rimpatriato per poi essere nuovamente espulso per aver inneggiato agli attentati avvenuti in Francia.
#1Emanuel Baroz
Predicare la jihad in Italia? Per la Cassazione non è reato
I giudici riducono a «istigazione all’odio razziale» l’accusa all’imam di Andria: «Senza addestramento non è terrorismo»
di Luca Fazzo
Un po’ come ai tempi del terrorismo rosso, quando i «cattivi maestri» che istigavano alla violenza venivano assolti purché non si sporcassero personalmente le mani: così anche nei confronti dei fanatici della jihad islamica la magistratura sceglie di distinguere tra chi invita al martirio, e chi quegli inviti raccoglie. Come se il ruolo dei predicatori fosse nelle bande armate musulmane meno cruciale di quello dei tagliatori di teste.
Ieri la Cassazione deposita le motivazioni della sentenza che nel luglio scorso annullò le condanne di cinque estremisti islamici operativi tra la Puglia e la Sicilia, tra cui l’imam di Andria, Hosni Hachemi Ben Hassen, alias Abu Haronne. Era stata una decisione che aveva lasciato di stucco i magistrati della procura antiterrorismo di Bari, perché gli elementi raccolti a carico di Abu Haronne erano decisamente chiari. Non tanto le sghignazzate sulle chiese italiane distrutte dal sisma, quanto gli appelli ripetuti ai fedeli perché si convertissero alla guerra santa, i campi di addestramento sull’Etna, lo studio costante su Internet delle tecniche di confezionamento degli esplosivi. Nelle motivazioni della condanna inflitta in primo grado al quintetto, il giudice Antonio Diella (che per questa inchiesta era dovuto finire sotto scorta) si spiegava che Abu Haronne e i suoi «si preparavamo a diventare strumenti di punizione», e che l’obiettivo delle prediche dell’imam era suscitare negli accoliti «un desiderio irrefrenabile di andare a morire in guerra come mujaheddin». La moschea della città pugliese «non era solo un luogo di preghiera, ma anche un rifugio per gli appartenenti alla cellula».
Ma l’imam di Andria viene assolto dalla Cassazione: cancellata l’accusa di terrorismo, si farà un nuovo processo per l’accusa di «istigazione all’odio razziale», roba da ultrà da stadio. Lui non ci sarà, perché all’indomani dell’ordine di scarcerazione della Cassazione il Viminale lo ha espulso dal territorio italiano, e il processo chissà quando si farà. Nel frattempo, il punto fermo della vicenda restano le motivazioni con cui ieri i giudici romani liquidano l’accusa di terrorismo. Non c’è terrorismo, dicono, se l’attività di indottrinamento è «finalizzata ad indurre una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa», cioè se non è affiancata «dall’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento».
Insomma, se la moschea non viene trasformata in un campo paramilitare, ogni predica è lecita, perché la conversione alla guerra santa contro l’Occidente «può costituire senza dubbio una precondizione, quale base ideologica, per la costituzione di un’associazione effettivamente funzionale al compimento di atti terroristici, ma non integra gli estremi perché tale risultato possa dirsi conseguito».
Il gruppo, per la Cassazione, non era pericoloso: e lo dimostrerebbe il fatto che tra le intercettazioni del 2009 e gli arresti del 2013 nessuno del gruppo sia partito per il «fronte», né abbia commesso attentati in Italia. Come se non esistessero «cellule dormienti». E come se non ci fossero precedenti di predicatori trasformatisi in terroristi a tempo pieno: come Mohamed Fezzani, assolto a Milano, e arrestato proprio ieri in Sudan.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/predicare-jihad-italia-cassazione-non-reato-1331868.html
#2Emanuel Baroz
Terrorismo, incitare al jihadismo non è reato se non c’è addestramento
Per i giudici della Corte di Cassazione non può esserci condanna per il reato di terrorismo internazionale se l’attività di indottrinamento e proselitismo è “finalizzata ad indurre una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa” e se la formazione teorica degli aspiranti kamikaze non è affiancata anche “dall’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento”. E’ quanto sostengono i giudici della Suprema Corte nelle motivazioni depositate oggi e relative alla sentenza di assoluzione, emessa lo scorso 14 luglio, dei cinque presunti jihadisti della piccola moschea di Andria. L’accusa era di terrorismo internazionale di matrice islamica.
La Dda di Bari ordinò il loro arresto, eseguito dai carabinieri del Ros, nell’aprile 2013. La base del gruppo, secondo gli investigatori, era nella piccola moschea di Andria. La Cassazione lo ritiene un gruppo a limitata “operatività”, tale da non costituire una minaccia per la collettività. Uno dei cinque imputati, l’imam tunisino Hosni Hachem Ben Hassen, presunto capo della cellula, nella stessa sentenza venne condannato per istigazione all’odio razziale. I fatti al centro del processo riguardavano gli anni dal 2008 al 2010.
http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2016/11/14/terrorismo-incitare-jihadismo-non-reato-non-addestramento_pVIeY7NK8bxweQGcoNOHXL.html?refresh_ce
#3Emanuel Baroz
Cassazione: teoria jihad senza addestramento non è terrorismo
Il solo indottrinamento teorico alla causa jihadista senza addestramento non è terrorismo. Lo ha deciso la Cassazione
Il solo indottrinamento teorico alla causa jihadista, non seguito da attivita’ materiale di addestramento al martirio degli adepti, non basta a configurare il reato di associazione con finalita’ di terrorismo internazionale previsto dall’articolo 270 bis del Codice penale. E’ la sostanza della sentenza con la quale, l’estate scorsa, i giudici della quinta sezione penale della Corte di Cassazione hanno annullato senza rinvio la sentenza di condanna emessa il 27 ottobre 2015 dalla Corte d’assise d’appello di Bari a carico di tre tunisini e di un maghrebino, nato a Castelvetrano.
“L’attivita’ di indottrinamento – si legge – finalizzata ad indurre nei destinatari una generica disponibilita’ ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa, non da’ in primo luogo la necessaria consistenza a quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento deve costituire specifico oggetto dell’associazione in esame”. In pratica, la vocazione al martirio conta si’ ai fini della ravvisabilita’ del reato, ma va riconosciuta l’effettiva operativita’ della ‘cellula’ e, in ogni caso, “alle attivita’ di indottrinamento e reclutamento” deve affiancarsi quella di “addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento, che attribuisca all’esaltazione della morte, in nome della guerra santa contro gli infedeli, caratteristiche di materialita’ che realizzino la condizione per la quale possa dirsi che l’associazione ‘si propone il compimento di atti di violenza con finalita’ di terrorismo'”. Mentre dalle conversazioni riportate nella sentenza impugnata non emerge “alcun elemento indicativo della effettiva capacita’ del gruppo di realizzare atti anche astrattamente definibili come terroristici”. L’attivita’ di proselitismo e indottrinamento, in conclusione, “puo’ costituire senza dubbio una precondizione, quale base ideologica, per la costituzione di un’associazione effettivamente funzionale al compimento di atti terroristici” ma “non integra gli estremi perche tale risultato possa dirsi conseguito, al piu’ realizzando presupposti di pericolosita’ dei soggetti interessati valutabili ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione”.
http://www.affaritaliani.it/cronache/cassazione-teoria-jihad-senza-addestramento-non-terrorismo-450123.html?refresh_ce
#4Daniel
Povera Italia…
#5Parvus
Pensare che qualche magistrato prenda i petroldollari, è peccato. Però si indovina.