Torino, ricercatrice rinuncia al contratto per boicottare l’università di Tel Aviv
Il progetto sulle energie rinnovabili condiviso con l’ateneo israeliano
di Jacopo Ricca
“Rinuncio a fare ricerca per boicottare l’università di Tel Aviv e Israele”. A raccontarlo è una giovane ricercatrice precaria di Torino che dopo il dottorato ha rifiutato la proposta di continuare a studiare le energie rinnovabili perché il progetto prevedeva la collaborazione con l’ateneo israeliano finito nel mirino dei filopalestinesi, un po’ come era già successo per il Technion di Haifa. “Mi è stato proposto un contratto di collaborazione all’interno di un progetto finanziato dal fondo europeo Horizon 2020 – spiega dalla pagina del Collettivo universitario autonomo di Torino – Si sarebbe trattato di un lavoro nell’ambito della ricerca energetica in collaborazione con l’università israeliana di Tel Aviv, ma ho rifiutato l’offerta perdendo di conseguenza il lavoro e, con ogni probabilità, qualsiasi velleità di carriera accademica in Italia”.
La giovane descrive la sua scelta come politica: “Le istituzioni accademiche sono un punto chiave della struttura ideologica ed istituzionale del regime di oppressione, colonialismo ed apartheid di Israele contro la popolazione palestinese – è il duro attacco della ricercatrice – Fin dalla sua fondazione, l’accademia israeliana ha legato il proprio destino a doppio filo con l’establishment politico-militare, e nonostante gli sforzi di una manciata di accademici interni, tale istituzione rimane profondamente impegnata a supportare e perpetuare la negazione dei diritti dei palestinesi da parte di Israele”. Ai docenti che le proponevano il nuovo contratto la scelta della ricercatrice precaria è apparso assurdo: “Quando ho annunciato la mia decisione ho visto lo sgomento e incredulità delle persone che mi stavano proponendo come ‘persona giusta per il progetto e che ritenevano si trattasse per me di un’opportunità imperdibile – racconta – La sola cosa che potevo fare era non collaborare anche a costo della carriera”.
La ragazza avrebbe dovuto studiare le energie rinnovabili e i consumi energetici: “Come non pensare ad una perfetta installazione di sistemi fotovoltaici nelle colonie illegali, isole autosufficienti ed ipertecnologizzate, mentre al di là dei muri la popolazione palestinese viene costretta a morire di sete? – si domanda – Per quanto la chiarezza del tema di cui mi sarei dovuta occupare abbia reso la decisione più netta, non credo che la storia sarebbe dovuta andare diversamente se si fosse trattato, che ne so, di biotecnologie, o anche di studi filologici. La legittimazione di un sistema di apartheid e violenza non ha dipartimento”.
La scelta, che riporta d’attualità il tema del boicottaggio accademico di Israele dopo gli appelli a non collaborare con il Technion di Haifa, è stata appoggiata anche dagli studenti torinesi che in questi mesi hanno più volte organizzato iniziative a favore dei palestinesi: “Appoggiamo e supportiamo la decisione della ricercatrice torinese che ha rifiutato un assegno di ricerca perché in collaborazione con l’Università israeliana di Tel Aviv” scrivono sulla loro pagina Facebook i militanti del collettivo Studenti Contro il Technion.
(Fonte: Repubblica.it, 21 Febbraio 2017)