Kielce: storia di un pogrom
Alla vigilia della seconda guerra mondiale nella città di Kielce abitavano 25 mila ebrei, che rappresentavano un terzo dell’intera popolazione. La Shoah fece tabula rasa della presenza ebraica. Sopravvissero solo 250 persone, la maggior parte delle quali, una volta tornati a casa, viveva in un casermone di via Planty 7, una specie di ghetto dove si raccoglieva quanto rimaneva della vita ebraica: la cucina dove si preparava il cibo casher, la sala dove si celebrava il Seder, la sede del comitato ebraico, la sinagoga. Nel dicembre 1945, durante la festa di Hanukkà una granata fu gettata contro l’edificio. I danni non furono gravi, ma si diffuse la paura. Il comitato ebraico decise d’inviare una delegazione dal vescovo di Kielce, Czesław Kaczmarek, per chiedergli di esercitare la sua influenza per salvaguardare l’incolumità dei mem- bri della piccola comunità.
Il vescovo rispose pressappoco così: «Gli ebrei sono ottimi medici e avvocati. Tradizionalmente sono buoni mercanti e artigiani. La Polonia ha bisogno di gente come loro. Ma quando invadono il campo della politica e interferiscono negli affari polacchi, offendono i sentimenti nazionali. Allora non è sorprendente che i polacchi reagiscano in modo violento». Sembrava quasi un avvertimento. Pochi mesi dopo si sarebbe verificato l’episodio più grave, che avrebbe segnato indubbiamente più di ogni altro i rapporti tra polacchi ed ebrei nel dopoguerra, non a caso appena quattro giorni dopo il referendum politico che aveva visto i comunisti sonoramente battuti dall’opposizione. Il 65% dei votanti si dichiarò contro la repubblica popolare, ma i comunisti alterarono i risultati elettorali. Al potere totalitario serviva un’occasione favorevole per screditare i gruppi di opposizione.
Il 1° luglio 1946 scomparve misteriosamente Henryk Blaszczyk, un bambino di otto anni. Per due giorni non si ebbero sue notizie, ma il padre, un noto alcolizzato, stranamente non sembrava preoccuparsene. Il bambino, quando riapparve, raccontò una storia assurda. Disse di essere stato rapito dagli ebrei, che lo avevano rinchiuso in una cella insieme ad altri bambini polacchi. Fortunatamente era riuscito a fuggire, mentre gli altri bambini stavano per essere uccisi. Il padre lo condusse al vicino commissariato, e fu ordinata una perquisizione in via Planty.
Immediatamente si diffuse nel paese la notizia di un omicidio rituale: numerosi bambini polacchi sarebbero stati sacrificati, e il loro sangue veniva usato dagli ebrei per preparare il pane azzimo. Mentre la polizia perquisiva l’edificio – naturalmente senza trovare né celle né bambini –, una folla minacciosa circondò la casa. Alle 11 scattò il primo attacco da parte di una massa inferocita, e fu gettato da una finestra Berl Frydman, uno degli abitanti della casa. Invano il dottor Seweryn Kahane, responsabile del comitato provinciale ebraico, chiese aiuto per telefono alle forze della «sicurezza». Gli risposero che quasi tutti gli agenti erano impegnati nella caccia ad alcuni terroristi. Telefonò allora al responsabile delle unità russe di stanza a Kielce. Anche qui ricevette una risposta negativa; il comandante dichiarò di non voler interferire negli affari interni polacchi. E a nulla valse un’ulteriore telefonata al vescovo Kaczmarek. Era evidente che nessuno intendeva far nulla per proteggere gli ebrei. Infatti le esigue forze di polizia dislocate in via Planty non poterono quasi nulla contro la folla impazzita. Anzi, c’erano tra loro alcuni agenti provocatori che aizzavano la folla contro gli ebrei. Solo nel tardo pomeriggio, quando il massacro era ormai consumato, arrivò a Kielce l’esercito, che procedette a decine di fermi.
Il bilancio di quello che sarebbe passato alla storia come il più grave pogrom del dopo Olocausto nell’Est europeo era spaventoso: 42 ebrei erano stati uccisi dalla folla, 5 dalla polizia, più di 70 erano gravemente feriti. Tra le vittime c’era anche il responsabile del comitato ebraico Kahane, il quale, secondo alcune testimonianze, era stato ucciso nel suo ufficio da un agente provocatore. Si sarebbe saputo in seguito che il bambino si era recato per tre giorni nel villaggio di Pieradlo, a 25 km di distanza, da uno zio, senza confidargli che la famiglia era completamente all’oscuro della sua fuga. Ma ancor oggi il cinquantasettenne Henryk Blaszcyk non vuol dire chi lo indusse, nel 1946, a raccontare quella storia fantastica, che altro non era se non la rappresentazione di pregiudizi fortemente radicati nella mentalità di molti abitanti di Kielce.
Qualche mese dopo si tenne il processo contro alcuni partecipanti al pogrom. Furono condannate a morte otto persone, tra cui due poliziotti accusati di saccheggio e dell’assassinio di una donna ebrea. A Lodz, la città «rivoluzionaria» per eccellenza, appena si diffuse la notizia gli operai tessili entrarono in sciopero per protestare contro una condanna che colpiva «i polacchi». Furono invece liberati dopo sei mesi i poliziotti che erano stati letteralmente a guardare e che avrebbero avuto la possibilità di fermare la folla prima che succedesse l’irreparabile. Il capo della polizia provinciale, Władyslaw Sobczynski, che aveva sostituito solo due settimane prima il vecchio comandante di origine ebraica, non solo fu assolto, ma ricevette elogi per il suo operato. Il tribunale militare di Varsavia, il 16 dicembre 1946, nella sentenza affermava che «grazie alla sua azione è stato possibile salvare dal pogrom gli altri ebrei». Così, non solo ritornò al proprio posto nell’apparato di polizia, ma fu promosso direttore dell’ufficio passaporti di Varsavia.
Il pogrom di Kielce fu orchestrato dai comunisti? Finora nessuno è riuscito a dimostrarlo con prove concrete. Solo quando saranno accessibili gli archivi sovietici si potrà avere una risposta definitiva. Probabilmente, quel giorno poliziotti e popolazione si lasciarono trascinare in un’escalation incontrollabile da una mentalità antigiudaica profondamente radicata; e ognuno si trovò a giocare il proprio ruolo. I responsabili della «sicurezza» stettero a guardare, qualche poliziotto pensò di rivolgere le armi contro quegli ebrei che cercavano solo di difendersi. La folla si accanì per vendicare nel sangue quel terribile delitto di cui, secondo un’opinione diffusa, gli ebrei continuavano a macchiarsi da secoli.
Thanks to: Progetto Dreyfus
#1Emanuel Baroz
Oltre la Shoah, il massacro degli ebrei di Kielce | di David Spagnoletto
http://www.progettodreyfus.com/ebrei-kielce/
#2Emanuel Baroz
Il caso Kielce e non solo. La Shoah oltre la Shoah
https://www.ilfoglio.it/esteri/2016/10/02/news/il-caso-kielce-e-non-solo-la-shoah-oltre-la-shoah-104743/?refresh_ce
#3Emanuel Baroz
Video of the funeral of Jews after the pogrom, Kielce 1946
https://www.youtube.com/watch?v=wqLXjvSJyaw
#4Emanuel Baroz
Il pogrom di Kielce, nella Polonia del dopoguerra
Nell’immediato dopoguerra, in Polonia, si verificò la paradossale convergenza di due atteggiamenti: da una parte la posizione del governo comunista, che ricalcò la linea sovietica di non valorizzare la specificità ebraica del genocidio; dall’altra, la convinzione radicata all’interno della popolazione, secondo cui gli ebrei erano degli estranei e dei nemici della nazione polacca. Quest’ultima concezione si manifestò clamorosamente in occasione del pogrom che si verificò nella città di Kielce, nel luglio 1946: accusate di aver tentato un omicidio rituale, contro un bambino polacco, furono uccise quaranta persone, mentre altre ottanta furono ferite o picchiate.
Invece di condannare l’episodio, nel testo che riportiamo, pubblicato il 1° settembre 1946, il vescovo locale (Czeslaw Kaczmarek) cercò di difendere gli autori del pogrom. Quanto alle autorità comuniste, in questo caso cercarono di sfruttare l’evento per mettere in difficoltà la Chiesa ed accusarla di essere reazionaria; in numerose altre occasioni, però, dimostrarono di condividere l’antisemitismo popolare o per lo meno di assecondarlo. Questo delicato contesto spiega la particolare situazione che si venne a creare nella gestione della memoria degli ex-campi di Auschwitz: per molto tempo, i luoghi ebraici furono dimenticati, trascurati e di fatto rimossi.
Non solo i polacchi che non appartengono ad alcun partito o che sono all’opposizione non amano gli ebrei, ma persino molti di coloro che appartengono ufficialmente a partiti di governo.
I motivi di questa generale avversione sono universalmente noti e comunque non derivano da motivi razziali. Gli ebrei in Polonia sono i principali propagandisti del regime comunista, che il popolo polacco non vuole, che gli viene imposto con la forza, contro la sua volontà. Inoltre, ogni ebreo ha una buona posizione o infinite possibilità e facilitazioni nel commercio e nell’industria. I ministeri, i posti all’estero, le fabbriche, gli uffici, l’esercito traboccano di ebrei, e sempre nei posti principali, importanti e di responsabilità. Dirigono la stampa governativa, hanno in mano la censura, oggi così severa in Polonia, dirigono gli uffici di sicurezza, arrestano. Oltre a diffondere il comunismo, non si contraddistinguono per il tatto, soprattutto nei rapporti con persone di idee non comuniste. Sono spesso arroganti e brutali. Molti di loro non vengono nemmeno dalla Polonia. Giunti dalla Russia, parlano male il polacco e si orientano ancor peggio nei rapporti con i polacchi. Per le suddette ragioni si può dire perciò che la maggior parte della responsabilità per l’odio che circonda gli ebrei è da attribuirsi a loro stessi. Il polacco medio ritiene (non importa se a torto o a ragione) che i veri e sinceri sostenitori del comunismo in Polonia siano essenzialmente solo gli ebrei, perché la stragrande maggioranza dei comunisti polacchi, a parere della comunità, sono persone interessate, prive di idee, comuniste solo perché a loro conviene molto…
Oltre a questa ragione, però, sulle masse di Kielce ne agisce una seconda, che si potrebbe definire diretta. Già un paio di mesi prima del 4 luglio 1946 a Kielce avevano iniziato a diffondersi voci sulla morte di bambini di entrambi i sessi… l’opinione pubblica riteneva che ne fossero colpevoli ebrei che compivano omicidi rituali sui bambini, quindi le accuse dei genitori ebbero l’effetto di aizzare molto contro gli ebrei, soprattutto sulle persone semplici. Indubbiamente furono queste morti di bambini a indignare persino molti membri dell’intelligencja. Per esempio, alcuni di essi riferirono a chi scrive che gli ebrei facevano trasfusioni di sangue dai bambini e uccidevano le vittime a cui prelevavano il sangue.
I fatti qui descritti furono riportati alla polizia, ma essa dimostrò nei loro confronti una totale indifferenza, non compiendo indagini, ma non smentendo neanche le notizie ricevute. L’inattività delle forze di polizia confermò nelle grandi masse la convinzione che agli ebrei di Polonia fosse permesso tutto, che potessero sempre passarla liscia. […]
È un fatto che gli ebrei europei desiderano esercitare una pressione sul governo britannico perché dia loro la Palestina in possedimento esclusivo. L’attentato compiuto recentemente all’hotel King David di Gerusalemme da terroristi ebrei, durante il quale pare siano morti parecchi ebrei, è una prova eloquente di quella pressione. In secondo luogo, per ottenere più facilmente la possibilità di partire per la Palestina, gli ebrei europei tentano di dimostrare di essere perseguitati in alcuni paesi europei. Uno di questi paesi è la Polonia, particolarmente invisa agli ebrei, soprattutto russi, perché non vuole accettare il regime comunista che le viene imposto. In relazione ai suddetti fenomeni non è escluso che qualcuno tra gli ebrei possa aver indotto Henryk Blaszczyk [= il bambino di Kielce che scomparve il 1° luglio 1946, ricomparve sano e salvo il 3 luglio e disse di essere stato rapito dagli ebrei – n.d.r.] a fare il suo racconto… nella previsione che avrebbe indotto la folla già eccitata e tanto ostile agli ebrei a eccessi che in seguito sarebbe stato possibile sfruttare ampiamente. […]
La stampa governativa pretende dall’episcopato un intervento collettivo contro l’antisemitismo. È una pretesa paradossale, e addirittura oltraggiosa per la Chiesa. Inoltre è una cosa che non può essere fatta, non solo per motivi di principio. La stragrande maggioranza degli ebrei in Polonia diffonde in maniera zelante il comunismo, lavora nei famigerati Uffici di Sicurezza, arresta, tortura e uccide gli arrestati, e per questo va incontro all’avversione della società, che non vuole il comunismo e che ne ha ormai abbastanza di metodi da Gestapo. Ed ecco che la Chiesa, secondo la stampa di regime, deve annunciare solennemente che l’avversione della società non è fondata, che il comportamento degli ebrei è assolutamente innocente, che i colpevoli sono i polacchi che si sdegnano contro di loro.
A. Michnik, Il pogrom, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 18-21. Tradizione di L. Rescio
http://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/documentazione/formazione-pdc/viaggio-visivo/i-campi-di-auschwitz/i-crematori-di-birkenau/auschwitz-e-la-polonia-una-memoria-complessa-e-contesa/approfondimenti/il-pogrom-di-kielce-nella-polonia-del-dopoguerra
#5Parvus
Solo il popolo più depravato del mondo poteva sterminare dei sopravvissuti a un genocidio. I polacchi lo hanno fatto!!!