Quel passaporto Usa che riconosce Gerusalemme capitale di Israele
di Ugo Volli
Con una piccola cerimonia, l’ambasciatore americano a Gerusalemme David Friedman ha consegnato venerdì scorso il passaporto americano a Menachem Binyamin Zivotofsky, un ragazzo americano nato 18 anni fa a Gerusalemme. Un atto del tutto normale? No, perché sul passaporto c’era scritto che Zivotofski era nato in Israele. Ancora una cosa normale? Dopotutto il ragazzo è nato nella capitale dello stato di Israele e se si vuole essere pignoli nella parte che appartiene allo stato ebraico dalla sua fondazione.
E invece questo è stato il primo passaporto americano ad ammettere che Gerusalemme è in Israele, nonostante una legge approvata dal Congresso nel 1995 che ha imposto al governo di farlo e nonostante ben due cause legali intentate dai suoi genitori al governo, arrivate fino alla Corte Suprema, con le amministrazioni Clinton e Obama impegnate a difendere questa assurda negazione e la Corte, allora dominata dalla sinistra del tutto incapace di affermare la logica e il diritto. Del resto l’Italia fa la stessa cosa: sui documenti dei nostri concittadini residente a Gerusalemme scrive che vivono in ZZZZZ (letteralmente così in uno stato fatto solo di zeta).
Un piccolo atto simbolico, se volete, ma la politica è fatta di simboli, che segue quello della settimana scorsa in cui gli Usa hanno esteso gli accordi di collaborazione con Israele alle città e ai villaggi di Giudea e Samaria. E prima ancora, ricordiamolo, è stato Trump a superare tutti gli ostacoli per gli accordi fra Israele e tre stati arabi, lui a trasferire l’ambasciata a Gerusalemme, lui a tagliare le oscure collaborazioni delle amministrazioni precedenti con le organizzazioni palestiniste in odor di terrorismo. Insomma, Trump è il presidente più amico di Israele e degli ebrei della storia, forse perché sua figlia si è convertita, forse perché suo padre è noto per aver aiutato gli ebrei fuggitivi dalla Shoah. Ma anche per realismo: Israele è il principale e più leale alleato degli Usa in Medio Oriente e riconoscere i suoi confini è puro realismo; aiutarlo a consolidare la sua posizione e ad accordarsi con gli arabi filoamericani è ovvio interesse degli Usa. Insomma, Trump può avere tratti non garbati, può riuscire antipatico, ma è un grande politico, un grande presidente e un grande amico di Israele. Possiamo solo sperare che fra qualche giorno sia rieletto.