L’Egitto alza il “muro di Gaza” ma Hamas continua a sparare su Israele
di Claudio Pagliara
Gerusalemme, 12 Gennaio 2010 – George Mitchell è già da quasi un anno l’inviato di Obama in Medio Oriente, ma sembra refrattario a far tesoro dell’esperienza acquisita. La settimana scorsa, in una intervista alla PBS, ha minacciato il congelamento delle garanzie finanziarie statunitensi ad Israele come forma di pressione sul governo Netanyahu per spingerlo a fare concessioni ai palestinesi. La sferzante risposta, Netanyahu l’ha affidata al ministro delle finanze Yuval Steinitz. Israele non ha bisogno di queste garanzie, che peraltro sono state appena rinnovate fino al 2011, ha spiegato Steinitz. Le parole di Mitchell sono state criticate da un gruppo di senatori repubblicani, in visita a Gerusalemme. John McCain, che guidava la delegazione, ha chiarito che qualunque decisione tesa a forzare la mano ad Israele non passerebbe al vaglio del Congresso. McCain si è anche detto certo che le parole di Mitchell non riflettono la posizione dell’amministrazione Obama.
L’infelice intervista televisiva ha messo in imbarazzo l’amministrazione Usa. Le parole di George Mitchell in contrasto con la posizione assunta, nella stessa giornata, dal Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, che ha invitato israeliani e palestinesi a riprendere il negoziato “senza alcuna pre condizione”. Una cacofonia che aumenta la diffidenza delle parti e indebolisce la capacità degli Usa di spingerle a riprendere il negoziato. Netanyahu ha ricordato che Israele ha già fatto passi importanti – il congelamento degli insediamenti – per favorire la ripresa del negoziato di pace. Il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, ha ribadito il suo aut aut: niente trattative se Israele non bloccherà le gru anche a Gerusalemme est, oltre che in Cisgiordania.
Se sul fronte diplomatico è ancora stallo, uno sviluppo inatteso è il pugno di ferro adottato dall’Egitto nei confronti di Hamas. Dopo aver chiuso a lungo un occhio sul contrabbando che fiorisce grazie ai tunnel sotto il confine con la Striscia di Gaza, il Presidente Mubarak ha ordinato la costruzione di una barriera metallica sotterranea destinata contenere il traffico illegale. I lavori vengono visti da Hamas con crescente preoccupazione. L’impresa dei tunnel è la fonte primaria del suo potere. Di lì passano le armi targate Iran. E col contrabbando Hamas è riuscita ad alleggerire gli effetti dell’embargo e rimpinguare le sue casse. Il movimento islamico ha giocato la carta della rabbia popolare. Nel corso di una violenta manifestazione di protesta al confine, un cecchino palestinese ha ucciso un poliziotto egiziano. In Egitto, gli alleati di Hamas, i Fratelli Musulmani, hanno accusato il regime di voler affamare il popolo palestinese. Il tentativo di far recedere Mubarak dalla sua decisione si è rivelato controproducente.
Il presidente ha incassato il pronunciamento delle massime autorità religiose sunnite del Cairo, che hanno dichiarato legittima la barriera in costruzione e la condanna degli imam in tutte le mosche del Paese per l’uccisione del poliziotto alla frontiera. L’Egitto ha anche dichiarato “persona non grata”, espellendolo dal paese, lo scozzese George Galloway, che voleva portare nella Striscia di Gaza un mega convoglio di aiuti messi insieme proprio dalla rete dei Fratelli Musulmani. Le ragioni che hanno spinto Mubarak a applicare un giro di vite nei confronti di Hamas sono da ricercare nei rapporti sempre più stretti tra il movimento islamico l’Iran. Hamas è percepita dal mondo arabo come la longa mano di Teheran nella regione. E le mire egemoniche dell’Iran preoccupano l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita, almeno quanto Israele. Il momento scelto per l’affondo non è casuale.
Hamas è sulla difensiva dalla disastrosa guerra dello scorso gennaio. La sua popolarità è in calo. Eppure è restia di salire sulla scialuppa di salvataggio preparata dall’Egitto: una riconciliazione di facciata con Fatah, che consentirebbe la riapertura dei confini di Gaza sotto il controllo delle forze internazionali e con una presenza simbolica della guardia presidenziale fedele a Mahmoud Abbas. Per Hamas, gli ultimi giorni hanno riservato altre brutte sorprese. L’esercito israeliano ha sperimentato con successo “Iron Dome”, il primo sistema antibalistico in grado di intercettare e distruggere i razzi a corto raggio, come i Qassam e i Grad. Netanyahu, infine, ha chiarito che non intende liberare i “simboli della stagione del terrore”, come li ha definiti, in cambio di Gilad Shalit. Le prossime settimane diranno come reagirà Hamas a questa pressione concentrica: scendendo a più miti consigli, come spera l’Egitto, o trascinando la Striscia di Gaza in una nuova guerra, come la ripresa del lancio di razzi di questi giorni fa temere.
Nella foto: il confine tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Sotto ogni tendone si cela un tunnel in costruzione…
#1ADOLFOSIBILIO
Saluti a tutti.- bisogna difendersi da tutto dalla fame – sete -sonno distrazioni pensieri e opere infami. e allora difendiamoci anche dagli uomini e donne! grandi e piccoli