“Rifugiati” palestinesi: quelle cifre sempre più gonfiate

 
Emanuel Baroz
22 agosto 2013
1 commento

Gonfiato il numero dei “rifugiati” palestinesi

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Secondo le stime ufficiali, la guerra fra Israele e stati arabi del 1948-49 ha prodotto circa 711 mila rifugiati arabi palestinesi. Per mettere questo dato in prospettiva, si consideri che dal 1948 all’inizio degli anni Settanta si contano circa 850 mila rifugiati ebrei, in uscita dagli stati arabi.

Un pertinente documento dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, datato 23 ottobre 1950, così si esprime a proposito del problema dei rifugiati palestinesi: «la stima degli esperti di statistica, ritenuta attendibile, indica che i rifugiati in uscita dai territori controllati dagli israeliani, ammonti a circa 711.000 unità».

Se da un lato si stima che qualcosa come 30-50 mila arabi palestinesi siano ancora viventi, rispetto a questo dato; la UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) consente a figli, nipoti, pronipoti e discendenza all’infinito dei rifugiati effettivi di continuare a fregiarsi di tale titolo. Per cui, sulla base di questa pratica (unica al mondo: in nessun altro stato al mondo i discendenti dei rifugiati conservano lo status dei loro genitori, NdT), si calcolano oggi ufficialmente 4.9 milioni di palestinesi che possono vantare la condizione di “rifugiato”, accedendo ai relativi benefici.

Robert Tait è il corrispondente dal Medio Oriente del Telegraph (ha scritto in passato per il Guardian, e questo spiega molte cose, NdT). Ci si aspetterebbe da egli una certa familiarità con l’argomento e con le radici storiche. Tuttavia, il suo ultimo articolo sugli attuali negoziati fra israeliani e palestinesi contiene un significativo passaggio che testimonia come sia o poco a conoscenza dei numeri, o indisponibile a contraddire la retorica ufficiale palestinese sul “diritto al ritorno” per milioni di arabi che di fatto non sono mai stati rifugiati, e non hanno mai messo piede in vita loro in Israele. Il suo reportage, dal titolo

“Mentre l’Egitto brucia, in Israele si parla di pace”, include il seguente passaggio: “Sul tavolo ci sono i consueti punti controversi che hanno fatto deragliare i precedenti tentativi di pace: i confini, gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi occupati (“contesi”, è il termine tecnicamente più appropriato, NdT), il destino di quasi cinque milioni di rifugiati arabi espulsi (non sono stati espulsi. Sono stati convinti nel 1948 dagli stati arabi belligeranti ad abbandonare le loro case, convinti che presto si sarebbero appropriati delle dimore degli ebrei sconfitti. Purtroppo per essi, non è andata così) verso i paesi vicini durante la Guerra di Indipendenza del 1948, e lo stato di Gerusalemme, che entrambe le parti reclamano come capitale“.

Sebbene l’indisponibilità dei media ufficiali ad affrontare con senso critico la questione complessa dei rifugiati meriti un approfondimento ulteriore, la parte della frase che abbiamo evidenziato non è semplicmente fuorviante: è una affermazione palesemente falsa, e ne renderemo conto al quotidiano.

Fonte: CifWatch.

CiFWatch è un’organizzazione impegnata nello smascheramento delle bufale giornalistiche montate ai danni di Israele. Poiché la normativa britannica prevede un codice deontologico da rispettare fermamente – imperativo raramente rispettato, quando si descrivono i fatti in Medio Oriente – i volontari di CiFWatch sollevano le istanze più palesi di mistificazione della realtà, di omissione in mala fede e di vera e propria disinformazione davanti all’autorità, che nelle maggior parte dei casi riconosce l’errore e impone al quotidiano di pubblicare una immediata rettifica. Parziale consolazione, poiché non di rado il danno è fatto. Ma la verità, alla fine, emerge.

“CiF” è il nome della popolare rubrica (“Comment is Free”) del Guardian, famigerato quotidiano britannico in cui lo stato ebraico è non di rado aggredito. Dai redattori, e spesso in modo meno velatamente antisemita dai suoi lettori, che fanno uso disinvolto dell’anonimato loro concesso.

P.S.: Secondo credibili stime recenti, il numero di arabi defluiti da Israele subito prima dell’attacco subito dagli stati arabi confinanti nel 1948, si attesta a circa 350 mila unità. Un dato ovviamente rilevante; ma inferiore al numero di ebrei che furono ostracizzati, intimiditi, vessati, oggetto di violenze, ed espulsi dagli stati arabi del Nord Africa e del Medio Oriente. Ebrei oggi pienamente integrati in Israele. Mentre i rifugiati “palestinesi” (nel 1948 la palestina non esisteva, nell’accezione moderna) non sono mai stati integrati nelle società di Siria, Giordania, Egitto e Libia, dove sono stipati in luridi campi profughi, privi di dignità, spesso di cibo, di possibilità di lavorare, di diritti civili e politici; ma, da sempre, utili come strumento di pressione nei confronti dello stato ebraico.

Il Borghesino

Nell’immagine in alto: i numeri relativi alla presenza ebraica nei paesi arabi nel 1948 e ad oggi

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  • #1Daniel

    La dura battaglia contro la disinformazione

    Simpatico botta e risposta fra la redazione del Daily Telegraph, quotidiano britannico che ha la sventura di ospitare la penna di Robert Tait, ex giornalista del Guardian; e CifWatch, organizzazione no-profit impegnata nella lotto contro la disinformazione, la mistificazione, l’omissione in mala fede e non di rado l’invenzione di sana pianta di fatti che inevitabilmente mirano a gettare ombra e discredito su Israele. Ce ne siamo occupati qualche giorno fa. Nel tentativo di fornire appoggio alla cosiddetta “causa palestinese”, il Telegraph ha gonfiato a dismisura il numero di rifugiati e profughi palestinesi; per tali intendendosi non coloro i quali furono persuasi dagli stati arabi belligeranti nel 1948 a lasciare Israele, dietro la promessa che vi sarebbero tornati ben presto a guerra (vinta) conclusa; bensì il numero degli arabi, e di tutta la loro discendenza, che può accedere ai generosi benefici dell’iscrizione all’UNRWA, un’agenzia delle Nazioni Unite che da decenni perpetra se’ stessa dietro questo comodo e largo paravento. Si potrà obiettare che in questo momento ci sono emergenze umanitarie che richiederebbero almeno una parte del ricco budget messo a disposizione dell’UNRWA; ma non digrediamo.
    Dunque l’articolo originale riportava:

    «Sul tavolo sono ci sono i noti aspetti critici che hanno indotto il fallimento di precedenti tentativi di pervenire alla pace; segnatamente, i confini, gli insediamenti ebraici nei territori occupati, il destino di quasi cinque milioni di rifugiati arabi espulsi verso i paesi confinanti durante la Guerra d’Indipendenza israeliana del 1948; nonché lo stato di Gerusalemme, che entrambe le parti reclamano come propria capitale».

    Cifwatch ha preso virtualmente carta e penna, e si è avvalsa del diritto riconosciuto dall’ordinamento britannico, sollecitando una rettifica: i rifugiati furono, stando all’ONU, 711 mila; dei quali solo 30 mila sono tuttora in vita. Mentre il dato di 5 milioni di rifugiati ha rilevanza soltanto ai fini dell’adesione ai benefici dell’UNRWA, un’agenzia creata appositamente per i palestinesi, e che adotta standard del tutto peculiari e diversi, rispetto a quelli impiegati per tutti gli altri rifugiati del mondo.
    Pronta la rettifica del Telegraph, ancora una volta però equivoca:

    «Sul tavolo sono ci sono i noti aspetti critici che hanno indotto il fallimento di precedenti tentativi di pervenire alla pace; segnatamente, i confini, gli insediamenti ebraici nei territori occupati, il destino di quasi cinque milioni di rifugiati arabi e dei loro discendenti espulsi verso i paesi confinanti durante la Guerra d’Indipendenza israeliana del 1948; nonché lo stato di Gerusalemme, che entrambe le parti reclamano come propria capitale».

    Sfortunatamente la rettifica risulta ancora equivoca, dal momento che farebbe presupporre che a 5 milioni di profughi si aggiungano ulteriori rifugiati. Ulteriore richiesta di perfezionamento del testo, prontamente pervenuta:

    «Sul tavolo sono ci sono i noti aspetti critici che hanno indotto il fallimento di precedenti tentativi di pervenire alla pace; segnatamente, i confini, gli insediamenti ebraici nei territori occupati, il destino 700 mila arabi rifugiati e dei loro discendenti (un numero ora cresciuto a 5 milioni), espulsi verso i paesi confinanti durante la Guerra d’Indipendenza israeliana del 1948; nonché lo stato di Gerusalemme, che entrambe le parti reclamano come propria capitale».

    C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine il Telegraph ha evitato una figuraccia.

    http://www.ilborghesino.blogspot.it/2013/09/la-dura-battaglia-contro-la.html

    3 Set 2013, 15:29 Rispondi|Quota