Boicottata l’azienda israeliana SodaStream ma ci rimettono 900 operai palestinesi
Ricordate SodaStream, la società israeliana con sede in Cisgiordania colpita dal boicottaggio che ha investito la sua testimonial Scarlett Johansson? Ha dovuto chiudere l’impianto di Ma’ale Adumim, in Cisgiordania a causa della compagna che contestava il fatto che la sua location fosse nei “Territori occupati”.
L’azienda fabbrica un dispositivo in grado di trasformare l’acqua di rubinetto in acqua gassata in più di 100 gusti. L’attrice americana che compariva nella pubblicità dell’azienda è stata colpita dal fuoco di alcuni indignati che le contestavano il supporto di una azienda che era in un territorio «dove gli israeliani non dovrebbero essere». Lo scrittore e accademico Reza Aslan, ha addirittura accusato l’attrice di essere una “nazista” perché aveva lavorato per SodaStream. Altri interventi dello stesso tipo hanno “costretto” Scarlett a precisare che nel prestare il suo volto all’azienda non c’era nulla di politico. Le spiegazioni dell’attrice non hanno ridotto la forza polemica dei boicottatori che hanno costretto l’azienda a chiudere l’impianto e a mandare a casa 900 operai palestinesi.
«Quelle persone che hanno lanciato il boicottaggio con lo scopo di aiutarci in realtà ci hanno danneggiati – spiega Nabil Bashrat, 40 anni residente di Ramallah che lavorava nella fabbrica – l’azienda era fonte di reddito per centinaia di famiglie e interi villaggi. I boicottatori che volevano danneggiare le colonie israeliane non hanno pensato alle conseguenze per le vite di tanti palestinesi che vivono qui». L’azienda ha trasferito gli impianti nel Negev. Ad essere impiegati saranno beduini e immigrati africani.
(Fonte: Il Messaggero, 27 Agosto 2014)
#1Emanuel Baroz
“Boicottiamo Israele”. Ma a rimetterci sono i palestinesi
“Boicottiamo Israele”. Con questo slogan gli anti-sionisti europei ed americani si sono uniti, quest’estate sui social network, in una campagna di boicottaggio dei prodotti “made in Israel” per protestare contro i bombardamenti e l’intervento militare di Gerusalemme in risposta al lancio di missili dalla Striscia di Gaza. La campagna si è accanita soprattutto contro la società SodaStream, produttrice di macchinari che rendono l’acqua frizzante o che trasformano l’acqua in cola e aranciata e ha ottenuto il risultato sperato: vendite crollate. Peccato che, però, a rimetterci non sono stati gli israeliani bensì i lavoratori palestinesi che lavoravano in SodaStream in uno stabilimento in Cisgiordania.
A RIMETTERCI SONO I SOLO I PALESTINESI. I filo-palestinesi europei e americani non avevano fatto bene i conti: se è vero che SodaStream è una multinazionale israeliana, è altrettanto vero che opera (anzi, oramai dobbiamo dire “operava”) anche in Cisgiordania, cioè in un territorio controllato dall’Autorità palestinese. Molti filo-palestinesi erano a conoscenza della presenza di questo stabilimento e già in passato era stato preso ad esempio come luogo di sfruttamento “imperialista” di Israele nei confronti dei palestinesi “ridotti in schiavitù”. Sta di fatto che con la chiusura dello stabilimento 900 palestinesi non hanno più un lavoro, retribuito ben al di sopra della media locale.
IL VERO OBIETTIVO? Tuttavia, non è da escludere il fatto che la chiusura di quello stabilimento (e quindi il licenziamento di 900 palestinesi) rappresentasse il vero obiettivo di questa campagna. Infatti, proprio in Cisgiordania registriamo tassi di crescita economica importanti e una situazione che va via via normalizzandosi. Pur rimanendo parzialmente sotto il giogo israeliano, l’Autorità palestinese ha intrapreso un percorso che sta isolando le fazioni violente (anche grazie a tassi di disoccupazione in diminuzione, oggi al 19,1%) e mettendo le basi per la crescita civile ed economica dell’area. Così dove non c’è disperazione non c’è lotta armata e l’ideologia anti-semita fatica ad attecchire.
(Fonte: Diritto di Critica, 5 Settembre 2014)