Ripensare la questione dei profughi
Un incontro fra centinaia di parlamentari europei solidali con Israele si è concluso a Parigi, lo scorso finesettimana, con una approfondita discussione sul tema della riabilitazione dei profughi palestinesi: una delle questioni più delicate sul tavolo dei negoziatori israeliani e palestinesi.
Il dibattito, nel quadro di un convegno sponsorizzato dall’associazione European Friends of Israel che ha sede a Bruxelles, cade in un periodo che vede all’opera una serie di iniziative parlamentari nel mondo, a cominciare da Stati Uniti e in Canada, volte a reindirizzare i fondi attualmente destinati all’UNRWA (l’elefantiaca Agenzia Onu creata apposta per i profughi palestinesi e i loro discendenti) verso il reinsediamento di una parte dei profughi e dei loro discendenti in paesi terzi.
La sessione, ospitata dalla Israel Allies Caucus Foundation, braccio internazionale del Christian Allies Caucus della Knesset, ha visto l’intervento di vari parlamentari europei nonché dei parlamentari israeliani Benny Elon (Partito Nazionale Religioso-Unione Nazionale) e Amira Dotan (Kadima). I due co-presiedono un nuovo comitato della Knesset dedicato alla riabilitazione dei profughi palestinesi.
Diverse centinaia di migliaia di arabi di Palestina – le stime variano da 400 a 750mila – abbandonarono le loro case durante i combattimenti della guerra d’indipendenza israeliana (1948-49) scatenata dall’aggressione dei paesi arabi contro il neonato stato di Israele. Quei profughi, insieme ad alcuni milioni di loro discendenti, costituiscono una delle questioni più spinose che devono trovare soluzione nel quadro di una composizione del conflitto israelo-arabo-palestinese.
Israele respinge categoricamente la pretesa palestinese di permettere a questi profughi e ai loro discendenti di stabilirsi all’interno di Israele (il cosiddetto “diritto al ritorno”), affermando che ciò causerebbe di fatto la fine di Israele (un vero e proprio “diritto di invasione”). Israele ricorda inoltre gli 850mila ebrei che dovettero fuggire dai paesi arabi dopo la nascita dello stato di Israele nel 1948, e che vennero assorbiti e integrati nella società israeliana configurando una sorta di “scambio di popolazione”.
Di recente alcuni parlamentari israeliani hanno iniziato a sostenere apertamente che bisogna attrezzarsi per risolvere la questione dei profughi, dopo che per decenni era stata considerata un ostacolo praticamente insormontabile in qualunque trattativa.
A questo proposito, gran parte della discussione di venerdì scorso a Parigi ci è incentrata sulla differenza che corre tra l’UNRWA e l’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNCHR), il principale organismo dell’Onu che si occupa di tutti gli altri profughi nel mondo. Mentre l’UNRWA, con 25.000 dipendenti, si occupa quasi esclusivamente dei 4,5 milioni di palestinesi registrati come profughi, l’Alto Commissariato, con 6.300 dipendenti, si occupata degli altri 33 milioni di profughi registrati in più di 110 paesi. Durante l’incontro è stato anche sottolineato il fatto che, a differenza dell’Alto Commissariato, la definizione di “profugo palestinese” adottata dall’UNRWA comprende non solo i profughi stessi, ma anche tutti i loro discendenti per più generazioni, il che – secondo i critici – non fa che perpetuare la crisi anziché avviarla a soluzione.
“Chiediamo di sapere – ha detto Benny Elon – come mai l’Alto Commissariato ha il mandato di risolvere il problema dei profughi e l’UNRWA invece no. Vi sono ciniche motivazioni politiche dietro la volontà di preservare all’infinito lo status dei profughi”.
L’UNRWA ripete sempre che la questione dei profughi palestinesi potrà trovare soluzione solo nel contesto di un futuro accordo di pace fra Israele e palestinesi. Essa ammette che le dimensioni del problema dei profughi sono ingrandite (ma – sostiene – non prolungate) dalla scelta dell’Onu di “adottare” anche i discendenti dei profughi palestinesi veri e propri, ma asserisce che è così che l’Onu considera i profughi in tutto il mondo.
“Dobbiamo imparare dall’Alto Commissariato per i Rifugiati come spostare energie e denari per trovare strumenti che già esistono” ha detto Amira Dotan, che nel suo intervento, pur rendendo omaggio all’opera umanitaria ed educativa svolta dall’UNRWA per i palestinesi, ha anche suggerito che seguisse l’esempio di successo dell’Alto Commissariato.
“La redice del problema – ha detto il parlamentare portoghese Paulo Casaca – è che queste persone sono profughi perché quelli coinvolti nell’industria dell’odio abusano di loro. Sono intrappolati in una macchina dell’odio. Anziché aiutare i profughi, stiamo aiutando coloro che vogliono usarli contro Israele”.
“L’Unione Europea – ha detto Hannu Takkula, parlamentare finlandese – ha l’obbligo morale di analizzare le radici del problema anziché gettare denaro dentro al problema, come abbiamo fatto in passato. Dobbiamo avviare questa riflessione perché il sistema attuale non sta funzionando. Il problema per molti è la mancanza di informazione”.
(Da: Jerusalem Post, 10.11.08 )
Olmert: “Addolorati per i profughi sia palestinesi che ebrei”
#1Emanuel Baroz
Onu alla deriva
L’Unrwa e la connection con Hamas Mondo
di Maurizio Stefanini
10 Gennaio 2009
All’ultimo vertice Fao fece scalpore la provocazione del presidente senegalese Abdolulaye Wade: chiudere l’organizzazione di cui tra l’altro è direttore generale il suo connazionale Jacques Diouf, e conglobare le sue competenze con quelle dell’altra agenzia Onu Programma Alimentare Mondiale, “per evitare lo spreco di risorse su inutili doppioni”. Diouf è del Partito Socialista Senegalese, rivale del Partito Democratico di Wade: il che dà probabilmente alla disputa anche un sottofondo un po’ più squisitamente localista. È però vero che è caratteristico del Sistema Onu proprio questo moltiplicarsi dei centri di decisione e soprattutto di spesa, su materie in realtà simili. Sempre nel campo dell’alimentazione, ad esempio, Fao e Programma Alimentare Mondiale devono convivere pure con l’Ifad: il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo. Mentre in campo economico se la fine del sistema di Bretton Woods non ha del tutto annullato la differenza tra Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, non c’è però dubbio che i loro compiti sarebbero agevolmente gestibili da un’entità unica. Specie se si considera poi quella che viene a essere la differenza tra certi input che vengono dall’Fmi; certi altri input in senso indifferente che vengono dalla Banca Mondiale; e altri input a loro volta diversi di altre entità a carattere regionale. Per dirne una, negli anni ’90 in America Latina una diffusa demonizzazione dei “diktat neo-liberali” dell’Fmi conviveva con un’opposta pubblicistica che invece dava la colpa dell’arretratezza latino-americano all’ortodossia “neo-keynesiana” imperante nella Cepal: la Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi.
Questa lunga premessa, per chiarire che il problema non è solo l’Unrwa. Ma, certo, i fatti di Gaza ripropongono il problema dell’Urnwa, come punta dell’iceberg del più generale problema della riorganizzazione onusiana. Da una parte, la stessa Unrwa che protesta contro Israele, sospendendo le sue operazioni a Gaza dopo che un suo convoglio è stato colpito da bombe anticarro, con il saldo di due vittime. Dall’altro, la riproposizione delle antiche accuse israeliane all’Unrwa di essere schierata dalla parte delle organizzazioni palestinesi più estremiste: non solo permettendo a Hamas di creare le sue infrastrutture nei campi profughi da essa gestita, ma anche avendo in passato permesso a Hamas di nascondere armi e uomini nelle sue ambulanze. Va ricordato che elogi all’Unrwa sono invece arrivati da una gamma di governi abbastanza vasta da comprendere non solo Bangladesh, Giordania, Malaysia, Turchia o Vietnam, ma anche Canada, Giappone, Paesi Bassi e Norvegia. Ed è pure indubbio che senza l’operato dell’Unrwa la situazione a Gaza finirebbe di degenerare: non solo per i 750.000 residenti cui fornisce un aiuto alimentare essenziale, ma anche per i 9.000 posti di lavoro che crea a livello locale, creando un importante indotto.
Tuttavia, la stessa esistenza dell’Unrwa è all’origine di quel doppio standard con cui l’Onu tratta la questione palestinese rispetto a tutte le altre emergenze umanitarie e belliche che si sono succedute al mondo negli ultimi sessant’anni: e che è poi all’origine di quell’altro doppio standard che viene rimproverato a Israele, di essere il Paese al mondo che più risoluzioni dell’Onu ha violato. Vero: anche perché è contro Israele che si creano sistematicamente maggioranze che all’Onu non si creano contro nessun altro Paese, anche quando fa cose ben peggiori di quelle rimproverate allo Stato ebraico.
Unrwa è la sigla di United Nations Relief and Works Agency: Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione. Ma nel sistema Onu c’è anche l’Acnur: Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. E tutte e due queste agenzie si occupano di profughi. Qual è la differenza? L’Unrwa, che effettivamente è più antica, fu dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituita in seguito all’emergenza della guerra arabo-israeliana del 1948, con la risoluzione 302 (IV) dell’ 8 dicembre 1949. Poi, visto che al mondo non c’era solo i profughi palestinesi, e che la stessa Italia ad esempio in quel momento stava ancora metabolizzando l’esodo di istriani, giuliani e dalmati, il 14 dicembre del 1950 nacque pure l’Acnur: appunto, per gestire il problema profughi nel suo complesso, a livello mondiale. Ma l’Unrwa non vi fu conglobato, come sarebbe stato logico. Nel corso della sua storia l’Acnur, vincitrice di due Nobel per la Pace, ha aiutato una cinquantina di milioni di persone. Al primo gennaio del 2007, si parlava di 21.018.589 persone che ricadevano sotto il suo mandato Acnur: 7.979.251 in Asia, 4.740.392 in Europa, 5.069.123 in Africa e 3.229. 822 nelle Americhe. E il suo staff era composto da 6.300 persone, provenienti da 110 paesi.
L’Unrwa invece gestisce unicamente i rifugiati palestinesi in Giordania, Siria, Libano, Cisgiordania e Striscia di Gaza: nel 2004 circa 4 milioni di persone, un terzo dei quali sono distribuite tra 59 campi. Da notare che in questa stessa area l’Acnur assiste ben 2.580.638 profughi che non sono palestinesi. Da notare che sono pure responsabilità dell’Acnur i profughi palestinesi fuori di quell’area: ad esempio, i 240.000 in Arabia Saudita e i 70.000 in Egitto. E da notare che 2 milioni e mezzo di palestinesi che vivono fuori dai campo profughi ricadono bel mandato Unrwa, ma non ricadrebbero nel mandato Acnur se le stesse identiche cose accadute loro fossero successe in qualsiasi altra area del mondo, e con responsabilità di qualsiasi altro Paese diverso da Israele. Tornando all’esempio degli italiani d’Oriente fuggiti all’invasione jugoslava, nessuno di loro è dunque più nel suo mandato, perché tutti sono stati stabilmente reinseriti da qualche parte. Ma se esistesse un’Unrwa istriana, sarebbero invece considerati tuttora meritevoli di aiuto e solidarietà: non solo quelli di loro ancora vivi, ma pure i loro figli, nipoti e discendenti, all’infinito, reinseriti o no.
Lasciamo perdere le accuse di certi storici all’Unrwa di aver permesso l’iscrizione alle sue liste di falsi profughi in cerca di mantenimento: da cui la differenza tra i 367.000 rifugiati palestinesi stimati dagli studi di Walter Pinner nel 1959, i 711.000 stimati dall’Onu nel 1949 e i 914.000 registrati dall’Unrwa nel 1950. Il semplice fatto di mantenere un’agenzia a parte con criteri a parte rispetto all’Acnur crea automaticamente due problemi. Primo: che mentre l’Acnur è incentivato a risistemare i profughi, anche magari contro il loro legittimo desiderio di tornare in patria, l’Unrwa è al contrario incentivato a perpetuare la situazione, che è la giustificazione della propria sopravvivenza. Secondo: che per l’Unrwa diventa pure quasi scontato assumere tra gli stessi rifugiati palestinesi il 99% del proprio personale. Il che, a parte l’occasione di creare pericolose sinergie con Hamas, contribuisce comunque a far venir meno quella posizione di terzietà che le agenzie Onu dovrebbero avere. E che permetterebbe comunque all’Unrwa di protestare anche con più autorevolezza: quando davvero le forze israeliane si rendono colpevoli nei suoi confronti di azioni condannabili.
http://www.loccidentale.it/articolo/onu+alla+deriva.0064279