Princìpi non negoziabili
Se Renzi vuole davvero difendere Israele ora deve impegnarsi contro l’ascesa all’Unesco del Qatar.
di Giulio Meotti
Il Qatar, che già siede nell’executive board dell’Unesco, l’agenzia dell’Onu per la cultura e la scienza che ha appena cancellato tremila anni di storia ebraica a Gerusalemme, ha messo gli occhi sulla poltrona principale dell’ente con sede a Parigi: il posto di successore del segretario Irina Bokova. Il favorito per quell’incarico è, infatti, l’ex ministro della Cultura del Qatar dal 2008 al 2016, Hamad bin Abdulaziz al Kawari, attualmente “consigliere culturale dell’emiro” al Thani. Nel 2017 la direzione dell’Unesco dovrebbe andare a un rappresentante del mondo arabo per la rotazione geografica e Kawari dovrà superare la candidatura di un egiziano e di un libanese. Ieri Kawari era a Roma per incontrare la sindaca, Virginia Raggi, che ha ricevuto in Campidoglio una delegazione dell’emirato islamico. Hanno partecipato l’ambasciatore Abdulaziz Bin Ahmed Al Malki Jehani e l’assessore alla cultura Luca Bergamo.
Non è un mistero che Kawari abbia iniziato da Roma il suo tour promozionale (la settimana scorsa ha ricevuto una laurea dall’Università di Tor Vergata). Il politico qatariota ha avuto un incontro al ministero dei Beni culturali di Dario Franceschini e ha avuto un colloquio con il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. In cambio, Kawari ha promesso: “Venezia e Ercolano le priorità del mio mandato”.
Lo scorso giugno Kawari era in Vaticano per la firma dell’accordo fra la Biblioteca Apostolica Vaticana e la Qatar Foundation for Education. Kawari, che parla arabo, inglese e francese come prima lingua, è un affabile uomo di mondo a proprio agio a Parigi, dove si è laureato alla Sorbona, e che nella sua scalata al vertice dell’Unesco gode dell’appoggio dell’Arabia Saudita e dei potentati del Golfo. Il Qatar è interessato a comprare non soltanto pezzi dell’economia europea (Hochtief, Volkswagen, Porsche, Canary Wharf), ma anche ad avere un ruolo chiave nella costruzione delle moschee, nei programmi sociali nella banlieue parigina e adesso nella gestione dell’Unesco (Kawari nel 2010 è riuscito a far nominare Doha “capitale della cultura araba” dall’Unesco).
Le organizzazioni dei diritti umani e quelle ebraiche sono già schierate per impedire che questo fine diplomatico qatariota prenda la guida dell’Unesco. Citando una quantità sterminata di materiale antisemita presente alla fiera della Letteratura di Doha, fiore all’occhiello di Kawari, il Centro Wiesenthal ha lanciato una campagna contro la sua candidatura. In una lettera a Kawari, Shimon Samuels, direttore del Wiesenthal per le relazioni internazionali, ha detto che il materiale in mostra ogni anno a Doha “vìola i valori promossi dall’Unesco”. Samuels ha elencato almeno 35 titoli antisemiti, tra cui nove edizioni del falso antisemita “I Protocolli dei Savi di Sion”, quattro edizioni del “Mein Kampf” di Adolf Hitler e quattro edizioni di Henry Ford “L’Ebreo Internazionale”. “Da questo punto di vista, Doha è molto lontana da Parigi”, ha detto Samuels, riferendosi al quartier generale dell’Unesco. Si prepara un nuovo caso Farouk Hosni, dal nome dell’ex ministro egiziano della Cultura che perse la guida dell’Unesco a causa di esternazioni antisemite (“brucerò tutti i libri israeliani”) e di politiche culturali (fece bandire anche “Schindler’s List”).
Kawari gode di un grande sostegno politico anche in Francia, dove questo fine settimana il settimanale Le Point ha messo in copertina le “relazioni pericolose” fra Parigi e Doha. L’occasione è l’uscita del libro “I nostri cari emiri” a firma di Christian Chesnot e Georges Malbrunot, che documenta i legami strettissimi fra la classe dirigente francese, il Qatar e l’Arabia Saudita. Sei anni fa, l’Italia commise il terribile errore di appoggiare la nomina di Hosni all’Unesco. Speriamo che non commetta lo stesso sbaglio con il Qatar, burattinaio della risoluzione antisemita su Gerusalemme e centrale mondiale dell’islamismo. La cultura occidentale non può finire all’ombra della mezzaluna.
(Fonte: Il Foglio, 22 Ottobre 2016)
Nella foto in alto: Hamad bin Abdulaziz al Kawari
#1Emanuel Baroz
Ma l’astensione italiana era un favore al Qatar in cambio di investimenti
L’emirato che punta alla direzione dell’Unesco ha già messo le mani sull’Ateneo di Tor Vergata.
Gian Micalessin
Incominciando da quella del 16 gennaio scorso che lo ritrae a Palazzo Madama in compagnia del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini mentre presenzia all’accordo di collaborazione tra l’Università dei Tor Vergata e l’emirato del Qatar. Un accordo con cui viene concesso all’emirato wahabita, grande ispiratore e sostenitore della mozione anti-israeliana, di penetrare il nostro mondo accademico. Subito dopo quell’accordo il governo Renzi e il nostro paese si trasformano nei grandi sponsor di Hamad bin Abdulaziz al Kawari, il diplomatico ed ex ministro della Cultura del Qatar candidatosi alla carica di prossimo Direttore Generale dell’Unesco. Una candidatura presentata in vista della fine del mandato della bulgara Irina Bokova in scadenza tra un anno. Proprio in virtù del sostegno concessogli dal nostro governo il 19 settembre scorso Al Kawari si presenta a Roma dichiarando di voler iniziare dall’Italia la campagna per la poltrona dell’Unesco. Una decisione seguita dall’immediato omaggio di una laurea «honoris causa» regalatagli proprio dall’Università di Tor Vergata. Una laurea che solleva i sospetti di molti accademici. I più scrupolosi fanno notare come l’ assegnazione si sia conclusa in maniera quanto meno anomala visto il mancato voto preventivo del Dipartimento interessato. I più maliziosi obbiettano sull’opportunità di assegnare un titolo così prestigioso ad un personaggio accusato dal Centro Simon Wiesenthal di aver patrocinato le pubblicazioni anti semite distribuite dallo stesso Al Kawari, in qualità di Ministro della Cultura, durante la fiera del libro di Doha.
Ma a sollevare ulteriori voci sulle relazioni intessute dal nostro governo con il candidato alla Direzione Generale dell’Unesco contribuiscono anche le foto che lo ritraggono, un mese fa, in compagnia del ministro dell’istruzione Stefania Giannini e poi di quello dell’Economia Pier Carlo Padoan. Incontri perfettamente leciti, ma sproporzionati all’importanza del passaggio romano di Al Kawari.
L’inusuale sostegno fornito ad Al Kawari e l’astensione su una mozione Unesco fortemente appoggiata dal suo paese vanno visti, però, anche alla luce della penetrazione del Qatar nelle nostra economia e nella nostra società. Una penetrazione avviata all’epoca del governo Monti quando l’allora premier si reca nell’emirato prospettando alla «Qatar Investment Authority» investimenti a prezzi di saldo in un’economia abbattuta a colpi di spread.
Sul fronte economico la prima conseguenza è la costituzione, nel marzo 2013, di una «joint venture» denominata «IQ Made in Italy Investment Company S.p.A.» controllata al cinquanta per cento dal «Fondo Strategico Italiano Spa» – la holding di Cassa Depositi e Prestiti – e dalla Qatar Holding LLC. Un’iniziativa seguita dai massicci investimenti del Qatar che oltre a comprarsi i grattacieli di Milano Porta Nuova, acquisisce il controllo del gruppo Valentino, di gran parte della Costa Smeralda, di un 25% del gruppo Cremonini e di numerosi hotel a cinque stelle. Investimenti condotti parallelamente al trasferimento di 25 milioni di euro destinati alla costruzione di 33 fra moschee e centri islamici. Con buona pace di chi ancora si chiede perché all’Unesco non difendiamo più Israele.
(Fonte: il Giornale, 22 Ottobre 2016)