Parlamentari alle marce antisemite, molotov sulle sinagoghe, roghi di bandiere israeliane
La Svezia ha un problemino con gli ebrei
di Giulio Meotti
Nel weekend, dopo la decisione statunitense di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele, slogan come “morte agli ebrei” e “morte a Israele” sono stati scanditi davanti all’ambasciata americana a Londra e sotto la Porta di Brandeburgo a Berlino. Ma è in Svezia che l’antisemitismo ha mostrato il suo volto più agghiacciante. Sabato sera, bombe molotov sono state lanciate contro una sinagoga a Göteborg, mentre un gruppo di ragazzi ebrei si barricava nell’adiacente centro ebraico. Poche ore dopo, bandiere israeliane venivano bruciate a Stoccolma. A Malmo, la terza città del paese, centinaia di persone si ritrovavano per gridare in coro “spareremo agli ebrei”. E il giorno dopo, altre bombe molotov sono state lanciate contro una cappella ebraica. La polizia svedese ha incrementato la sicurezza attorno agli edifici della comunità ebraica dopo questi eventi che hanno scioccato il paese (il premier, Stefano Lòfven, ha condannato “l’incitamento alla violenza contro gli ebrei“). Ma il fatto che a una manifestazione in cui si gridava “morte agli ebrei” abbiano preso parte anche dei parlamentari svedesi (si difendono dicendo che non avevano compreso gli slogan in arabo) getta una luce sinistra sulla socialdemocrazia svedese.
“Gli ebrei in Svezia sono spaventati e i genitori hanno paura di lasciare i figli all’asilo ebraico“, ha detto Johanna Schreiber, una nota giornalista che vive a Stoccolma. “Si ha paura di andare in sinagoga e ci sono persone che si stanno togliendo le stelle di David perché hanno troppa paura a indossarle“. Esprimere il sostegno pubblico a Israele può essere pericoloso, ma la polizia non sempre fornisce una protezione adeguata agli eventi proIsraele. Durante una manifestazione a Malmo, la piccola folla di sostenitori di Israele è stata costretta ad abbandonare l’evento dopo che la polizia non è stata in grado di impedire a migliaia di sostenitori palestinesi di attaccare le barricate e correre verso il gruppo. Idit Margulis, un israeliano che vive in Svezia da sette anni, ha smesso di andare ai raduni pro Israele dopo la nascita della figlia. “Ho paura che qualcuno mi ferisca quando sono lì“, ha detto Margulis ai media svedesi.
In seguito all’attacco a Göteborg, alcuni osservatori, tra cui il Simon Wiesenthal Center, hanno collegato gli incidenti all’atteggiamento del governo svedese nei confronti di Israele. Nel 2014, la Svezia è diventato il primo stato membro dell’Unione europea a riconoscere lo “stato di Palestina”. Il ministro degli esteri Margot Wallström ha poi suggerito che la motivazione degli attacchi terroristici a Parigi, durante i quali i terroristi islamici hanno ucciso 130 persone, derivava dalla frustrazione dei palestinesi. Hanif Bali, un membro del Parlamento per il Partito moderato di centro destra, il più grande all’opposizione, ha ricevuto una miriade di lettere di odio a causa del suo aperto sostegno a Israele. Bali ha dovuto fare ricorso alla protezione della polizia dopo le minacce di morte.
Qualche anno fa, dopo i primi clamorosi episodi di antisemitismo, il Wall Street Journal pubblicò un articolo dal titolo: “L’Eurabia si trova in Svezia”. E andrà sempre peggio. Nei giorni scorsi, il Pew Forum ha spiegato che, a seconda dei flussi migratori, la Svezia entro trent’anni avrà fra il venti e il trenta per cento di popolazione di fede islamica. In quello scenario, lo slogan “Itbah al Yahud” (uccidete l’ebreo), risuonato nei giorni scorsi nelle piazze svedesi, rischia di diventare una colonna sonora nell’arrendevole socialdemocrazia scandinava.
(Fonte: Il Foglio, 13 Dicembre 2017)