Qualche settimana fa sul mensile ebraico Shalom, è uscito un bellissimo articolo a firma di Victor Fadlun. Un testo struggente, in cui racconta la sorte del nonno Huato Fadlun e delle quattro notti di violenze brutali ai danni della più antica comunità ebraica di Libia.
In quell’epoca in Libia vivevano circa 40mila ebrei e mezzo milione di arabi. Una presenza millenaria, una comunità ebraica che viveva nel paese addirittura da molto prima dei musulmani, un dato che insieme al quadro generale non viene mai ricordato. Sono centinaia le sinagoghe date alle fiamme o trasformate in moschee, come sfregio costruirono l’autostrada sopra il cimitero ebraico. Tutto con la compiacenza degli inglesi che non mossero un dito per dimostrare alla comunità internazionale come la popolazione locale fosse composta da barbari che avrebbero mai saputo autogovernarsi.
La storia raccontata da Victor è solo una delle tante che si sono susseguite quei giorni e negli anni successivi, culminate negli altri terribili pogrom in terra libica, quelli del 1956 e del 1967. Tutto cominciò in occasione dell’anniversario della celebre Dichiarazione Balfour, due giorni prima. Scoppiarono tumulti in tutta la Libia e proprio a Tripoli scoppiarono i disordini maggiori in “un crescendo di assalti e di crudeltà inaudite”, come riferisce in un bellissimo scritto Marcello Ortona. Quel pogrom mise fine a secoli di rapporto di rispetto, di amicizia e di relazioni lavorative tra arabi ed ebrei: la comunità ebraica si era insediata in quelle terre infatti prima ancora che arrivassero le legioni romane. All’amicizia si sostituì la diffidenza, alla diffidenza l’odio cieco.
Victor Fadlun racconta che il nonno uscì di casa per andare al lavoro nonostante le proteste della famiglia, forte proprio dell’eccellente rapporto che sentiva di avere con la sua comunità, ma anche con gli arabi di Tripoli. Fu riconosciuto dalla folla, che lo inseguì, lo percosse e lo abbandonò davanti all’ospedale in fin di vita.
Leggete le sue bellissime righe di Victor Fadlun che hanno commosso i lettori di Shalom.
Questi ricordi sono in memoria dei nostri morti, come un fiore posato sulle loro tombe, che non esistono più perché pure il nostro cimitero a Tripoli ce lo hanno distrutto.