Regno Unito: il caso del numero verde che boicotta i prodotti “made in Israel”
La Federazione sionista ha protestato: pregiudizi contro di noi. E i supermercati hanno fatto marcia indietro
GERUSALEMME – 0800-505555, un bip: «Servizio clienti Tesco. Se state chiamando per informazioni sui prodotti da Israele, siete pregati di digitare 1». Il pregiudizio non si coglieva e il risponditore automatico aveva il tono antipatico, più che ostile. Però quella frasetta era ronzata subito male, anche perché schiacciando l’ 1 si capiva subito di che informazioni si trattasse: quelle sulla campagna per il boicottaggio del «made in Israel», che in Gran Bretagna ha trovato sponsor nel governo Brown e, dopo Gaza, è diventata un peso fisso sulla bilancia commerciale. Qualcuno ha segnalato alla Federazione sionista. Una verifica, la protesta: «Il messaggio è chiaro – dice Jonathan Hoffman, il vicepresidente -. I signori Tesco ci stanno dicendo che, per le merci da Israele, c’ è un “canale particolare”. E che trattarle è comunque una grana».
In Gran Bretagna, lo è da anni. Dall’ ortofrutta all’ hi-tech, molta roba arriva sui banchi dei supermercati con un’ etichetta che somiglia a un avvertimento: «Prodotto nella West Bank», ovvero negl’ insediamenti che tutta la comunità internazionale considera illegali e che dovrebbero essere smantellati, in base alla Road Map e agli accordi di Annapolis. La Palestine Solidarity Campaign ha raccolto molte adesioni fra gl’ inglesi e il boicottaggio è diventato reale. «Non c’ è dubbio, hanno acceso un semaforo rosso», riconosce Dan Katrivas, responsabile estero dei manifatturieri israeliani: «C’ è una campagna capillare, le organizzazioni pro palestinesi bombardano i negozianti con lettere e telefonate, chiedendo di togliere le nostre merci».
È a questo che s’ aggrappano i dirigenti Tesco, la più grande catena britannica di distribuzione, che hanno disattivato quel tasto 1 e fatto le scuse: «Il problema è che le nostre linee sono rimaste intasate, specie nei giorni della guerra di Gaza. La gente chiamava per sapere come aderire al boicottaggio, ma anche se fosse possibile acquistare lo stesso i prodotti israeliani. Abbiamo pensato d’ aprire una linea apposita». L’ attenzione non è piaciuta: se il boicottaggio è finora un danno più d’ immagine che di sostanza – l’ export israeliano ha subìto una flessione del 3-5 per cento -, in ogni caso i mercati inglese e scandinavo stanno diventando un tabù. Ci vuol poco a finire nel mirino antisraeliano, come sanno alla Starbucks, la multinazionale del caffè. Qualche mese fa, un chierico egiziano ha osservato la donna del logo verdenero e ha creduto di riconoscervi il volto Esther, la regina degli Ebrei persiani celebrata dal Vecchio Testamento. È scattata la fatwa. Starbucks ha smentito, ma è servito a poco: dal Cairo a Beirut, il caffè s’ è fatto amarissimo.
Battistini Francesco
(Fonte: Corriere della Sera, 11 Aprile 2009, pag. 14)
Nella seconda immagine il manifesto britannico che invita a boicottare i prodotti israeliani