RASSEGNA STAMPA – domenica 9 marzo 2008
Sulle pagine dei giornali di oggi è naturalmente ancora diffusa l’eco della terribile carneficina di giovedì scorso alla Yeshivà Merkaz ha-Rav di Gerusalemme. Solo un’eco, però: qualche interpretazione, qualche possibile precauzione per il futuro e pochi commenti. La notizia sembra fatalmente già passata e, nel complesso (forse un po’ troppo in fretta), “digerita”.
Sull’ “Unità” il portavoce di Olmert Avi Pazner – intervistato da Umberto De Giovannangeli – individua nell’identità ebraica il vero bersaglio della mattanza. Si è voluto colpire a morte l’immagine dell’ebreo e della sua dedizione religiosa. Acutamente l’ex ambasciatore in Italia coglie la più vasta portata antisemita di questa violenza, e il proposito di bloccare ogni prospettiva di dialogo, di scatenare la più dura delle reazioni da parte di Israele. La risposta israeliana non è certo esclusa da Pazner, che però insiste soprattutto sulla necessità di non cadere nel tranello e di continuare il dialogo con l’ANP. Il limite delle prospettive attuali non è tanto, a suo giudizio, quello della sospensione delle trattative di pace, quanto quello della mancanza di compattezza internazionale dopo il fatto: trattare con Hamas adesso sarebbe un colpo mortale alla pace. L’allusione a D’Alema e a quanti come lui propongono un’apertura al movimento fondamentalista è fin troppo palese.
Le debolezze dell’Occidente di fronte ai colpi del fondamentalismo islamico sono al centro oggi anche di altre riflessioni. Fiamma Nirenstein sul “Giornale” confronta “la viltà dell’Onu e il coraggio di Re Abdullah”: di qua l’incapacità di arrivare a un documento di condanna nei confronti di una strage di giovani studenti condita con l’ipocrisia dei continui inviti a Israele a “commisurare la reazione” alle offese ricevute (i continui razzi di Hamas su Sderot e Ashkelon); di là il coraggio di re Abdullah di Giordania che non ha concesso ai parenti giordani dell’attentatore di Gerusalemme l’erezione della tenda del lutto. Sul vuoto ormai rappresentato dall’Onu, sulla sua impotenza si sofferma anche un commento non firmato (di Ferrara?) del “Foglio”. Affidare a regimi come quello di Cuba o della Libia di Gheddafi l’ultima parola sulla possibilità di condannare le ingiustizie del mondo non può certo dare un grande affidamento. Ma è Giorgio Israel sul “Messaggero” a portare questa riflessione sul piano delle idee e della cultura. L’Occidente “ha scordato l’orgoglio di sé”. Siamo, saremmo vittime di un “odio di sé”, che ci porta ad autocondannare l’atteggiamento occidentale come brutalità di pensiero e menzogna sistematica, a voler concedere alla shariah una sorta di statuto speciale nel mondo britannico, a proporre boicottaggi nei confronti degli incontri e dei dibattiti promossi dalla cultura occidentale o ad appoggiare chi li promuove (i movimenti contro le fiere del libro di Torino e Parigi, l’adesione alle posizioni di Tariq Ramadan)
Queste preoccupazioni per la nostra debolezza mi paiono sensate. Denunciano giustamente una perdita di consapevolezza, una fragilità che paradossalmente sono figlie della stessa forza culturale dell’Occidente. Mi preoccupa semmai che siano solo le voci moderate o conservatrici a cogliere la nostra condizione attuale di impotenza; che le testate di sinistra abbiano niente o poco da dire in proposito. Occorre anche considerare che la debolezza dell’Occidente è addirittura più vasta rispetto a queste amare constatazioni. Non è solo quella di “perdere se stessi”. E’ anche quella – taciuta anche dai mass media moderati – di non saper proporre vie nuove e attuabili, percorsi possibili per la risoluzione delle questioni mondiali: percorsi adeguati ai valori e ai modelli della democrazia occidentale. Qui forse gli opinionisti di sinistra avrebbero qualcosa da suggerire.
David Sorani