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“Ebrei cani”: cartello shock davanti ad un negozio ad Istanbul
“EBREI CANI”: CARTELLO SHOCK DAVANTI UN NEGOZIO DI ISTANBUL Istanbul – Non si placa l’ondata di antisemitismo in Turchia. Dopo che il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva paragonato l’operazione “Margine protettivo” di Israele a Gaza con le atrocità perpetuate da Hitler nei confronti degli ebrei, un episodio di stampo anti-ebraico è accaduto a Istanbul. Davanti a un negozio di telefonia della capitale turca infatti è stato appeso un cartello che consiglia di non fare affari con gli ebrei, accostandoli ai […]Continua a leggere
Proposta egiziana: “Stato palestinese in Sinai”. Ma Abu Mazen dice NO
“Stato palestinese in Sinai”, il piano segreto di Al Sisi Offerta per sbloccare il negoziato. Ma Abu Mazen dice no di Maurizio Molinari Gerusalemme – Giallo diplomatico e tempesta di polemiche su un presunto piano egiziano per far nascere lo Stato di Palestina nel Sinai, unendolo territorialmente alla Striscia di Gaza. «L’Egitto ci ha proposto una parte del Sinai per realizzare lo Stato di Palestina ma ho rifiutato perché è illogico che siano loro a risolvere il problema che abbiamo con Israele» ha affermato il presidente palestinese Abu Mazen in un incontro domenica sera a Ramallah con alcuni consiglieri di Al Fatah, rivelando i contenuti sorprendenti di una conversazione avuta con il rais egiziano Abdel Fattah Al Sisi. Durante un recente incontro al Cairo, Al Sisi avrebbe infatti tratteggiato una «iniziativa di pace nel Sinai per la Palestina» ipotizzando di affiancare alla Striscia di Gaza circa 1600 chilometri quadrati di terra adiacente, oggi territorio egiziano, «per porre termine alla questione dei rifugiati» come lo stesso Abu Mazen ha confermato all’agenzia palestinese Ma’an. Si tratta di un’area del Sinai grande cinque volte l’attuale Striscia di Gaza e l’Egitto si sarebbe detto pronto a «concederla» in cambio della decisione di Abu Mazen di far venir meno due degli ostacoli all’intesa sulla fine del conflitto: la richiesta di far tornare i profughi del 1948 e di far ritirare Israele entro i confini antecedenti alla guerra del 1967. Il piano egiziano prevederebbe inoltre che le città palestinesi della West Bank, al momento amministrate dall’Autorità di Abu Mazen, «rimangano sotto il controllo palestinese», e che il nuovo Stato palestinese sia «smilitarizzato». Ma quando i contenuti del «piano egiziano» sono stati divulgati, ieri mattina, dalla radio dell’esercito israeliano la reazione del Cairo è stata immediatamente negativa e irritata. Fonti del ministero degli Esteri hanno parlato di «falsità infondate» ricordando che una simile ipotesi sul Sinai venne in realtà suggerita dal presidente Mohammed Morsi, sostenuto dai Fratelli Musulmani, e legato a doppio filo a Hamas.Continua a leggere
Abu Mazen contro Hamas, la storia si ripete: “Non accetteremo un potere condiviso”
Abu Mazen avverte Hamas: “Non accetteremo un potere condiviso” Il presidente palestinese minaccia di rompere l’accordo di unità nazionale se al governo non sarà consentito di operare adeguatamente. Il presidente palestinese (il cui mandato è scaduto da anni…) Abu Mazen minaccia di rompere l’accordo di unità nazionale con Hamas se il movimento islamista non consentirà al governo di operare adeguatamente nella Striscia di Gaza. “Non accetteremo un’alleanza (con Hamas) se la situazione continua in questi termini a Gaza, dove c’è un governo ombra con 27 vice-ministri che controllano il territorio“. Abu Mazen ha lanciato l’altolà sabato notte, arrivando al Cairo, e le sue parole sono state rilanciate dall’agenzia palestinese Wafa. Abu Mazen ha insistito che l’Anp non accetterà a Gaza “la situazione così come è ora“. Il presidente ha anche detto che la leadership palestinese sta facendo “ogni sforzo per alleviare la sofferenza del popolo di Gaza ed è al lavoro per dare urgentemente ogni forma di assistenza” alla gente della Striscia. Ed ha confermato che occorreranno circa 7 miliardi di dollari per la ricostruzione. Intanto, secondo quanto riferisce il quotidiano Haaretz, il ministero israeliano degli Esteri ha sottoposto al suo governo un documento che propone la presenza di una forza internazionale a Gaza, con una preferenza per l’opzione europea. L’articolo spiega che il documento è stato consegnato al governo il 21 agosto, sulla base di discussioni avute con esponenti tedeschi, britannici, francesi e di altri paesi europei.Continua a leggere
Chi c’è dietro l’appello dei “sopravvissuti alla Shoah contro Israele”?
Gli ingiusti Chi c’è dietro l’appello dei “sopravvissuti alla Shoah contro Israele”? Altro che “nonnine”. Organizzano il boicottaggio e flirtano con Hamas. di Giulio Meotti Il titolo su Repubblica faceva un certo effetto: “Gaza, oltre 300 sopravvissuti alla Shoah contro Israele”. Purtroppo, i sopravvissuti non erano “oltre”, e neppure “trecento”. Ma venti. Gli altri erano figli o nipoti o lontani parenti. Eppure, la storia è dilagata sui media di tutto il mondo. La Bbc: “Famiglie dell’Olocausto criticano Israele su Gaza”. Poi l’Independent: “Sopravvissuti all’Olocausto e loro discendenti accusano Israele di genocidio”. E così via. Ma chi c’è dietro a questa campagna apparsa addirittura a tutta pagina sul New York Times? La polemica è scoppiata in risposta a una iniziativa del più noto dei sopravvissuti alla Shoah, lo scrittore e premio Nobel Elie Wiesel. In un annuncio a pagamento sul New York Times e il Washington Post, l’autore de “La notte” ha scritto: “Nella mia vita ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco e adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che venerano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. E’ una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. E’ la civilizzazione contro la barbarie“. A Wiesel rispondono con un’altra pagina a pagamento sul New York Times e altri giornali 327 firmatari. “Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l’attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina“. La lettera pubblicata dal quotidiano newyorchese non è spontanea, ma è una iniziativa lautamente sponsorizzata dall’International Jewish Anti-Zionist Network. Una organizzazione dichiaratamente ostile a Israele, “antisionista”. I 327 concludono con un appello per “un totale boicottaggio economico, culturale e accademico di Israele“. Studiosi della Shoah che hanno analizzato il manifesto e i firmatari dicono che di questi 327, soltanto una ventina sono dei sopravvissuti. Gli altri sono “figli di sopravvissuti”, “nipoti di sopravvissuti”, “parenti di sopravvissuti” o semplicemente ebrei che hanno lasciato l’Europa in tempo. In Israele chiunque può dirsi tale. I firmatari dell’appello contro Israele sono diversi da Edgar Morin, che sul Monde ha scritto un appello perché la Francia interrompa gli accordi economici con Israele (gli ha risposto il regista Claude Lanzmann, in un articolo ripubblicato dal Foglio). Sono diversi da Zygmunt Bauman, un altro sociologo dalla parte sbagliata della storia che paragona Gaza al ghetto di Varsavia. I firmatari dell’appello dei “sopravvissuti” sono attivisti dell’odio, militanti sempreverdi delle campagne contro Israele sulle piazze e persino a bordo delle flottiglie del terrore. Hajo Meyer, il primo nella lista, è un noto militante olandese, autore di un libro intitolato “The end of Judaism”, in cui spiega, nemmeno fosse l’allievo di Mahmoud Ahmadinejad, che sionismo e giudaismo sono incompatibili. Meyer paragona Israele al “fascismo” e alla Germania nazista (“ci sono molte similarità”, scrive). Meyer ha dichiarato che “la prima causa dell’antisemitismo è lo stesso ebraismo”, e che “molti ebrei sono così concentrati sulla Shoah da essere incapaci di riconoscere la sofferenza altrui”, per esempio quella palestinese, e via delirando. Meyer non ha esitato a comparire nella televisione del regime iraniano, Press Tv, la voce dei pasdaran nel mondo, gli stessi che condannano Israele a scomparire dalla mappa geografica.Continua a leggere
Testimonianza del Washington Post: cosa è accaduto veramente a Gaza durante l’operazione antiterrorismo “Protective Edge”
Washington Post: Cosa è accaduto davvero durante la guerra a Gaza La testimonianza di un generale dei servizi segreti israeliani di Pino Salerno L’articolo è firmato da William Booth, redattore capo del Washington Post a Gerusalemme. Racconta dell’incontro all’ultimo piano del ministero della Difesa israeliana di alcuni selezionati giornalisti esteri con un generale dell’intelligence israeliana. A condizione dell’anonimato, secondo Booth, il generale dell’intelligence ha raccontato ai giornalisti la sua versione sui dati delle vittime, sull’architettura dei tunnel e sull’impiego dei razzi da parte di Hamas e di altri belligeranti. Ecco la sua “versione”, secondo la testimonianza del Washington Post. Quei lanciarazzi di Hamas che si sono visti raramente, si suppone siano stati sepolti. Il generale sostiene che i giornalisti, e gli osservatori, non hanno potuto parlare dei lanciarazzi di Hamas, non per codardia, o perchè minacciati, ma semplicemente perchè “non c’era nulla da vedere”. “La maggior parte dei lanciarazzi era sotto terra“, ha detto il generale. E ha sostenuto che i guerriglieri di Hamas hanno usato comandi a distanza per lanciare razzi, spesso lontani diverse centinaia di metri. Ciò ha reso “molto difficile trovarli e colpirli”. Gli israeliani hanno ucciso più civili o più combattenti (o entrambi)? Gli israeliani sostengono che le vittime della guerra a Gaza sono state 2.127, un numero che si avvicina molto ai dati ufficiali forniti dall’ONU. Le Forze armate israeliane danno per certo il numero di 616 combattenti e “terroristi” uccisi. Il generale dell’intelligence ha aggiunto che a loro risulta che si arriva a 616 contando 341 di Hamas, 182 della Jihad islamica e 93 di altre fazioni minori. Perciò, l’intelligence smentisce il primo ministro israeliano Netanyahu che aveva parlato di circa mille morti tra i guerriglieri di Hamas e aggiunge che 805 vittime restano ancora “sconosciute”. Il generale afferma che le Forze armate israeliane hanno ucciso 706 civili, cifra molto distante da quella comunicata dalle autorità delle Nazioni Unite. Secondo la fonte dell’intelligence, le vittime civili rappresenterebbero il 55% del totale, mentre l’ONU fa salire questa percentuale al 70%. Hamas è stata colpita duramente, ma non “così duramente”. Se le cifre sono vere, aggiunge il generale, vuol dire che è stato colpito solo il 5 per cento delle forze di Hamas, che ammonterebbero a 16mila uomini, e delle forze della Jihad, il cui numero si aggira attorno ai 5mila guerriglieri. È stata “spazzata via” appena una manciata” di capi di Hamas e della Jihad. Il generale esprime un “no comment” alla domanda se fosse stato davvero colpito il capo di Hamas, Mohammed Deif.Continua a leggere
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