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Rohani e la Shoah: quelle dichiarazioni mai fatte
Decriptare l’iraniano Rohani L’“apertura” sull’Olocausto è la conferma della sua ambiguità I media internazionali – a partire da quelli italiani – si sono innamorati della “moderazione” del presidente iraniano, Hassan Rohani, si sono fatti conquistare dalla “operazione charme” del leader di Teheran, la tentazione di dargli una chance, di credergli, è forte. Così la “grande apertura” di Rohani sull’Olocausto, durante l’intervista alla Cnn, ha occupato i titoli dei giornali, pareva di sentire anche il sospiro di sollievo che accompagnava la notizia. Secondo l’agenzia iraniana Fars, il presidente non ha detto la parola “Olocausto”, cosa probabile dal momento che i dirigenti iraniani non la usano mai in pubblico (la Cnn dice che il traduttore dal farsi era stato scelto dalla delegazione iraniana e conferma la traduzione del giro di parole che suona come “i crimini dei nazisti contro gli ebrei”), ma certo Rohani ha condannato i crimini dei nazisti contro gli ebrei e contro i non ebrei, anche se poi è andato avanti, è andato oltre. Ed è questo il punto: ha detto che “togliere la vita umana è contro la nostra religione”, soprattutto ha detto che “questo non significa che si può dire che i nazisti hanno commesso un crimine contro un gruppo, e allora loro devono usurpare la terra di un altro gruppo e occuparlo. Anche questo è un atto che deve essere condannato”. E’ la solita parificazione dell’incomparabile: il bilancio sessantennale della crisi arabo-israeliana conta 16.000 palestinesi (inclusi i militari) uccisi da israeliani, a fronte di ben 20.000 palestinesi uccisi per mano araba o addirittura palestinese. Più che un riconoscimento dell’Olocausto, si tratta di uno sfregio che conferma le ambiguità del neo presidente iraniano e della leadership di Teheran. Rohani vuole ribaltare l’immagine del paese data dal suo predecessore Ahmadinejad: deve uscire dall’isolamento e deve allentare quelle sanzioni che stanno distruggendo la sua economia, e lo fa con il suo tono felpato, ammiccante, elegante. Là dove Ahmadinejad sfidava, Rohani tratta. Là dove Ahmadinejad gridava, Rohani sussurra.Continua a leggere
Antisemitismo: Militia torna a minacciare il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici
Antisemitismo, campagna web contro Pacifici Insulti firmati Militia al presidente della Comunità ebraica di Roma: aperta un’inchiesta Roma, 25 Settembre 2013 – Minacciosa campagna web di Militia contro Riccardo Pacifici, il presidente della Comunità ebraica di Roma. «Libertà per Mirko Viola, spedisci anche tu una cartolina al giudeo Pacifici». La sicurezza della Comunità ha già intercettato una prima ondata di messaggi con insulti provocata dal tam tam, nato su Facebook, in reazione all’arresto di Mirko Viola, condannato a due anni e otto mesi per il sito web fascista Stormfront. E il pm Luca Tescaroli, già titolare dell’inchiesta su Stormfront (17 indagati), ne ha aperta un’altra sulla campagna d’odio nei confronti di Pacifici. SOLIDARIETA’ – Al presidente Pacifici è subito giunta una telefonata di «solidarietà, preoccupazione e vicinanza» dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che aveva già affrontato il problema dell’odio sul web nel corso della sua visita in maggio alla Comunità ebraica di Roma. Laura Boldrini ha ricordato a Pacifici che «non bisogna abbassare la guardia». Solidarietà anche dal sindaco di Roma Ignazio Marino, dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, dall’Aned e dal Presidente delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna. IL LEADER DI STORMFRONT – L’arresto di Mirko Viola di Stormfront, a cui sono stati revocati gli arresti domiciliari da parte del giudice di sorveglianza, ha innescato la nuova gazzarra ai danni di Riccardo Pacifici. Il giudice ha revocato i domiciliari al leader di Stormfront anche per una cartolina che aveva inviato il giorno della sua condanna a Riccardo Pacifici, usando l’indirizzo privato del Presidente della Comunità ebraica. «Era un evidente segnale intimidatorio, come dire che il mio domicilio è a loro noto – spiega Riccardo Pacifici -. La cartolina che conteneva anche citazioni in latino è stata presa dagli agenti della mia scorta e passata alla Digos. Il giudice ne ha tratto le conseguenze, valutando quel gesto insieme ad altri del Viola e decidendo di rimandarlo in carcere. Subito dopo si è scatenata questa campagna nei miei confronti. A questi signori senza volto dico chiaramente che se sono uomini si assumano le loro responsabilità. Settanta anni fa gli Alleati hanno vinto la guerra contro il male, ne è nata una repubblica con le sue leggi e i suoi principi, quel tipo di ideologia fascista non fa parte dell’esercizio della democrazia nel nostro paese».Continua a leggere
I confini del 1967 e il diritto internazionale
Ciclicamente viene riproposta la questione del ritorno dello Stato di Israele ai confini del 1967 (precedenti cioè la Guerra dei Sei Giorni, quella che se persa avrebbe significato la scomparsa del neonato stato ebraico) e ultimamente grazie anche all’ “impegno” della Unione Europea che ha deciso di boicottare i prodotti delle aziende israeliane situate nel cosidetto West Bank, cioè in Giudea e Samaria (creando di fatto gravi danni ai lavoratori palestinesi) ha ridato voce a chi, basandosi evidentemente su una scarsa conoscenza del diritto internazionale (se non addirittura sulla propria malafede), continua a parlare di “territori occupati” piuttosto che di territori contesi come in realtà devono essere considerati proprio ai sensi delle leggi in vigore in ambito internazionale. Riteniamo quindi opportuno proporre oggi un estratto di un articolo del Prof. Ugo Volli pubblicato sul mensile Shalom del mese corrente e proposto dagli amici di Informazione Corretta. Buona lettura. “…Vi sarebbe una “occupazione” israeliana di “territori palestinesi” che violerebbe la “legalità internazionale” e pertanto andrebbe fermata al più presto. Tutto ciò però, sul piano strettamente giuridico, non è affatto vero. Israele è stato costruito sul territorio del mandato britannico sulla Palestina, deciso dopo la fine della prima guerra mondiale e il crollo dell’impero ottomano, dal trattato di pace di San Remo (un trattato accessorio di quello di Versailles, si trova in rete fra l’altro qui) e poi della deliberazione della Società delle nazioni (le cui decisioni sono state interamente confermate dall’Onu al momento della sua fondazione). La premessa del mandato è che “recognition has thereby been given to the historical connexion of the Jewish people with Palestine and to the grounds for reconstituting their national home in that country “, con il quale viene dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebraico con la Palestina come base per ricostituire in quale paese la loro nazione”. All’articolo 6 si impone al mandatario di “shall facilitate Jewish immigration […] and shall encourage […] close settlement by Jews on the land, including State lands and waste lands not required for public purposes“, cioè facilitare l’immigrazione ebraica e di incoraggiare il “fitto insediamento” (o “colonizzazione” la parola è sempre “to settle”) della terra, incluse le terre statali e quelle vuote non necessarie a scopi pubblici. Questo testo, che ha valore legale si riferisce a tutta la Palestina mandataria. La proposta di divisione dell’Assemblea generale dell’Onu, che fu respinta dai paesi arabi, gli accordi armistiziali e poi quelli di Oslo, che rimandano tutti al futuro non hanno cambiato la condizione giuridica del territorio, anche della parte che fu arbitrariamente occupata dalla Giordania nel ’49. Il mandato di Palestina tutto, anche il “west Bank”, come si iniziò a chiamarne un pezzo dopo il ’49, era destinato a patria del popolo ebraico e la sua “colonizzazione” era e resta perfettamente legale. La convenzione di Ginevra che spesso si cita come prova dell’illegalità israeliana non c’entra niente: sia perché si applica a territori occupati, come Giudea e Samaria non sono, sia perché riguarda trasferimenti forzati di popolazione e pulizia etnica, come in quella zona ha perpetrato la Giordania e vorrebbe commettere l’Anp, ma Israele non ha mai fatto. I fatti che ho esposto sono ben noti.Continua a leggere
Hebron (Cisgiordania): un cecchino palestinese fredda un soldato israeliano durante il suo turno di guardia. Ma per i mass media nostrani neanche questa è una notizia…
Hebron (Cisgiordania): un cecchino palestinese fredda un soldato israeliano durante il suo turno di guardia. Ma per i mass media nostrani neanche questa è una notizia… Gerusalemme, 23 Settembre 2013 – Un soldato israeliano della Brigata Givati – Gal (Gabriel) Kobi, 20 anni, originario della cittadina settentrionale di Tirat Carmel – è stato mortalmente ferito, domenica sera, a Hebron (città teatro nel 1929 di un massacro antiebraico per mano araba di cui nessuno ovviamente parla), mentre era in servizio di […]Continua a leggere
Cisgiordania: ragazzo israeliano rapito e ucciso da un conoscente palestinese. Ma i mass media italiani tacciono come sempre…
Soldato israeliano rapito e ucciso : volevano usare il suo cadavere come merce di scambio Gerusalemme, 21 Settembre 2013 – Un soldato israeliano è stato rapito ed ucciso in Cisgiordania. Lo afferma la televisione privata Canale 10. Secondo la emittente il presunto autore del delitto, un palestinese di 42 anni, è stato arrestato dai servizi segreti e avrebbe confessato. Costui, originario del villaggio cisgiordano di Beit Amin, ha confessato di aver commesso il delitto con l’intenzione di offrire poi la […]Continua a leggere
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