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Torino: in Consiglio Comunale la maggioranza propone una mozione colma di pregiudizio antisraeliano
Torino: il pregiudizio antisraeliano domina anche in Consiglio Comunale Torino – Sembra incredibile, ma con tutti i problemi che ci sono in una città come Torino, il Consiglio Comunale ha trovato il tempo per discutere una mozione presentata dalla maggioranza di centrosinistra che proponeva di aderire alla “Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese”, istituita dall’ONU nel 1977 (!!!), che cade ogni 29 Novembre, data scelta perchè richiama la Risoluzione ONU 181. Non ci sarebbe niente di male naturalmente, se non fosse che leggendo il documento firmato dal Presidente del Consiglio Comunale, Giuseppe Castronovo (Rifondazione Comunista), e da tutti i capogruppo dei partiti della maggioranza (Andrea Giorgis del PD-L’Ulivo, Monica Cerruti di Sinistra Ecologia e Libertà, Domenica Gallo della Nuova Sinistra per Torino, Gian Luigi Bonino dei Moderati, Gaetano Porcino dell’Idv, Gavino Olmeo del Gruppo Misto; a questi si è aggiunto anche Marco Grimaldi, esponente di Sinistra Ecologia e Libertà) e da alcuni dell’opposizione (Luca Cassano di Rifondazione Comunista, Walter Boero dell’UDC), si ritrovano i più classici stereotipi del pregiudizio antisraeliano: si va dalla attribuzione della colpa allo Stato di Israele (e unicamente ad esso) per la mancata costruzione di uno stato palestinese secondo la citata Risoluzione ONU 181 alle continue sofferenze del popolo palestinese la cui vita è ancora oggi “scandita da umiliazioni, maltrattamenti, soprusi, discriminazioni, posti di blocco, muri, insediamenti, abbattimento di case, aggressioni, arresti e uccisioni“, il tutto naturalmente senza che il terrorismo palestinese venga minimamente citato e che le responsabilità delle varie leadership palestinesi che nel corso degli anni hanno avuto il potere, vengano mai citate.Continua a leggere
Schiene rotte, ganci e catene. Le celle segrete di Abu Mazen
Schiene rotte, ganci e catene. Le celle segrete di Abu Mazen di Davide Frattini Il primo giorno Ashraf è stato interrogato da tre uomini, il secondo lo hanno chiuso in cella di isolamento, il terzo sono tornati i tre uomini del primo e lo hanno picchiato, il quarto gli hanno bendato gli occhi, legato le mani dietro la schiena e lo hanno lasciato così per ventiquattro ore, il quinto gli hanno permesso di sedersi restando incatenato e bendato, il sesto l’hanno messo in una stanzetta con il materasso, il settimo hanno tolto il materasso e l’hanno ammanettato alla porta. Gli agenti dei servizi segreti palestinesi lo avevano prelevato all’inizio di settembre dal suo negozio, una vetrina sulla polvere di Hebron. «Dobbiamo parlarti per cinque minuti» , avevano detto. E’ tornato a casa dopo due mesi. Perché tra il 2007 e il 2009 è stato in un carcere israeliano, dove ha conosciuto Nasat Al Karmi, ricercato con l’accusa di aver ucciso quattro coloni il 31 agosto e ammazzato da Tsahal l’ 8 di ottobre. Perché è un sostenitore di Hamas e dopo l’agguato le forze agli ordini di Abu Mazen hanno voluto stremare i rivali del movimento fondamentalista, 700 arresti in pochi giorni. Ashraf (non è il suo vero nome, ha 30 anni) dice di non essere un attivista, di non essere coinvolto in politica, gli piace Hamas, questo sì, e ha votato per loro. La famiglia è legata al movimento integralista e in Cisgiordania è abbastanza per finire nelle prigioni gestite dalla Sicurezza preventiva, i servizi segreti civili e quelli militari, le tre strutture che qui vengono spesso identificate con una sola parola (mukhabarat) e una tecnica di tortura: shabah. Il prigioniero viene tenuto per ore, a volte giorni, con le mani legate, in piedi su una sedia o attaccato a un gancio. La posizione lo spezza, senza lasciare segni. Ahmad Salhab, un meccanico di 42 anni, fatica a camminare e a muovere un braccio. Human Rights Watch ha raccolto la sua testimonianza in un dossier sugli abusi nelle carceri dell’Autorità. Anche Ahmad è stato portato via senza mandato e tenuto nella prigione di Hebron, poi trasferito in quella di Gerico. Lo shabah gli ha danneggiato i dischi della colonna vertebrale. «Le denunce continuano ad aumentare — dice Joe Stork, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch —. Il presidente Abu Mazen e il primo ministro Salam Fayyad conoscono la situazione e devono intervenire».Continua a leggere
Ahmadinejad «convoca» il tedesco che si rifiutò di giocare contro Israele
Ahmadinejad «convoca» il tedesco che si rifiutò di giocare contro Israele Teheran, 28 Dicembre 2010 – Per i tedeschi è un traditore, per gli iraniani un mercenario, ma per Ahmadinejad un eroe. Ashkan Dejagah, 26enne centrocampista del Wolfsburg, sta spaccando in tre il mondo del calcio sulla rotta Berlino-Teheran, con il rischio di scatenare l’ennesima bufera diplomatica tra i due paesi. Forse non siamo a livelli da Wikileaks, ma gli ingredienti per un repentino rientro a casa di ambasciatori o comunicati stampa di fuoco ci sarebbero davvero tutti. Pomo della discordia un calciatore nato da genitori emigrati in Germania nel 1979 in piena rivoluzione khomeinista. Ashkan è cresciuto nell’Hertha di Berlino ed esploso con la maglia del Wolfsburg, fino a guadagnarsi un posto nell’Under 21 tedesca di Dieter Eilts, indossando la fascia di capitano di una nazionale che, come accaduto ai recenti mondiali Sudafricani, non sembra soffrire della sindrome multietnica. Quella che aveva tutti i contorni di una favola col finale annunciato da “tutti vissero felici e contenti”, si è tramutata invece in un pasticcio in salsa mediorientale. Nell’ottobre del 2007 infatti Dejagah si è rifiutato di scendere in campo con la Nationalmannschaft a Tel Aviv contro Israele. «Non sono animato da ideologie naziste – si è giustificato – ma nel mio sangue scorre sangue arabo. Non ho alcuna intenzione di affrontare la squadra di un popolo che opprime la Palestina». La notizia ovviamente ha fatto il giro del mondo e la federcalcio tedesca l’ha escluso a tempo indeterminato da qualsiasi impegno internazionale. Per lo scorno di Joachim Löw che aveva in programma una promozione del virgulto di origini iraniane in vista della Coppa del Mondo a Johannesburg.Continua a leggere
Iran: con la scusa di spionaggio il regime elimina i propri oppositori. E i pacifinti dove sono? Perchè non protestano?
Iran, impiccata presunta spia dei servizi segreti israeliani TEHERAN, 28 Dicembre 2010 (Reuters) – In Iran è stato impiccato oggi un uomo condannato a morte per spionaggio a favore dei servizi segreti israeliani: lo annuncia l’agenzia di stampa ufficiale Irna citando una comunicazione giudiziaria. “Ali Akbar Siadat, che spiava per conto del Mossad israeliano, è stato impiccato questa mattina nella prigione di Evin”, scrive l’agenzia. L’Irna dice che Siadat, un iraniano, era stato in contatto col Mossad dal 2004 ed […]Continua a leggere
La Fiom invita il Governo italiano al boicottaggio antisraeliano. E la CGIL che ne pensa?
Mo: Fiom; Governo sospenda accordi commerciali con Israele Roma, 22 dicembre 2010, –Anche la Fiom (sigla che racchiude il sindacato dei metalmeccanici della CGIL) si iscrive al folto gruppo dei boicottatori antisraeliani: in una nota emessa dalla direzione nazionale, a seguito di un incontro avuto con Jamal Jumaa (il coordinatore palestinese della campagna «Stop the Wall»), il leader della Fiom Maurizio Landini ha condannato la commercializzazione di prodotti della Agrexco «…che non solo lede gli interessi e i diritti dei lavoratori palestinesi, con la confisca ulteriore di terre e devastazione di villaggi, ma viola anche il diritto internazionale». Jumaa da parte sua ha chiesto che i sindacati europei prendano posizione nei confronti del sindacato israeliano, che, ha detto, «oltre a discriminare i lavoratori palestinesi, sostiene le scelte del governo israeliano». All’incontro hanno partecipato anche Sergio Bellavita, della segreteria nazionale della Fiom e Alessandra Mecozzi, dell’Ufficio Internazionale dell’organizzazione sindacale Inoltre Landini ha affermato il suo sostegno alla campagna Bds (boicottaggio, disinvestimenti, sanzioni nei confronti di Israele) e si è impegnato a portare, anche nelle sedi sindacali internazionali, la richiesta che il sindacato israeliano Histadrut «…venga vincolato al rispetto dei principi del sindacalismo europeo e internazionale (indipendenza, democrazia, diritti umani e del lavoro)» e, in caso contrario, «che vengano sospese le relazioni con il medesimo».Continua a leggere
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