Il soldato Shalit e una scelta straziante
Israele libererà 1.400 militanti palestinesi per far tornare a casa il caporale
di Pierluigi Battista
Per salvare il soldato Gilad Shalit, Israele è pronto a liberare 1.400 militanti palestinesi. Uno contro 1.400: una dismisura impensabile in un Paese come il nostro, che pure sprofondò nello psicodramma collettivo quando venne rifiutata ogni trattativa per liberare l’ ostaggio Aldo Moro. Un prezzo elevatissimo per una comunità che ogni giorno deve affrontare i dilemmi esistenziali più radicali: la vita e la morte, la sopravvivenza e l’ onore, la pace e la guerra. E che sente di proteggere la vita di un caporale del proprio esercito rapito nel 2006 a Gaza da guerriglieri di Hamas come un valore supremo. Anche a costo di rimettere in circolazione un numero altissimo di nemici, tra cui (lo ha ricordato Fiamma Nirenstein) Ibrahim Hammed, noto per aver assassinato 73 civili israeliani, o Abdullah Barghouti, «l’ ingegnere che ha confezionato quasi tutti gli ordigni che hanno seminato stragi a Gerusalemme tra il 2001 e il 2003».
Una scelta lacerante. Una dismisura inconcepibile per chi non conosce la minaccia quotidiana, l’ odio assoluto, il disprezzo razzista, la volontà di annientamento di chi ha rapito Shalit e di chi inneggia senza sosta, e pubblicamente, per i rapitori di Shalit. Israele, in questi giorni, è squassata da interrogativi inimmaginabili dai popoli abituati alla pace e alla normalità.
Protestano i parenti dei civili assassinati da chi sta per essere liberato dopo condanne somministrate al termine di regolari processi. Si teme che il rilascio di un numero così elevato di militanti e terroristi suoni come un incoraggiamento ai professionisti dei rapimenti, come un salvacondotto per uccidere di nuovo e seminare lutti infiniti. Ma la drammaticità della scelta rende ancora più evidente la ragione simbolica e morale di una decisione straziante: nessun soldato con la stella di Davide verrà lasciato solo, nessun altro Shalit verrà abbandonato alla sua sorte. Per riavere i resti di Ehud Goldwasser ed Eldad Regev, Israele accettò di scambiare cinque miliziani di Hezbollah: le due salme vennero accolte con solenni cerimonie funebri, in Libano ci furono invece scene di tripudio per l’ accoglienza degli «eroi».
Nel 1985 la liberazione di tre israeliani ebbe come corrispettivo quella di 1.150 palestinesi. Nel 2003 il rapporto fu di tre contro venti. Secondo un calcolo di fonte israeliana, dal 1980 a oggi il totale degli scambi tra prigionieri ammonta a settemila palestinesi contro diciannove militari di Israele. Oggi è il turno di una trattativa per Shalit che colpisce per la straordinaria sproporzione numerica dello scambio e per una decisione che si sottrae ai parametri etici di chi, fortunatamente, non vive nell’ assillo della sopravvivenza quotidiana e nella certezza che a pochi metri della propria frontiera esistono gruppi armati che scommettono sulla tua scomparsa dalla faccia della terra. Nella solitudine e nell’ indifferenza del mondo.
(Fonte: Corriere della Sera, 30 Novembre 2009, pag.29)
#1Emanuel Baroz
Un rapito vale mille criminali?
Il Giornale, 26 novembre 2009
Per assistere alla più espressiva parabola della condizione di Israele nel Medio Oriente, si può guardare in questi giorni al peggiore fra tutti gli affari possibili: lo scambio di un ragazzo innocente, un caporale dell’esercito israeliano che doveva aver sparato ben pochi colpi se non nel corso delle esercitazioni, tenuto in crudele segregazione dal giorno del rapimento nel giugno 2006, contro un branco gigantesco di delinquenti, 1400 prigionieri palestinesi condannati nei più rigorosi processi che sistema giudiziario possa garantire. Fra loro, almeno un centinaio di ergastolani, assassini seriali, killer volontari di donne e bambini.
Queste sono le ore in cui si decidono gli ultimi nomi, e Israele cerca di evitare che escano liberi i più fanatici assassini, quelli che probabilmente torneranno a uccidere. Ma Israele è soggetta a due forze straordinarie: la totale devozione alla vita che nasce dal dovere di sopravvivere e di salvare i ragazzi per i loro genitori; e dall’altra parte, il cinismo di un mondo che da sempre lo spinge a considerare naturale rinunciare, abbandonare, come se dovesse farsi perdonare.
Sembra un vortice di senso di colpa quello per cui Netanyahu, proprio in mezzo a una trattativa così controversa, ha annunciato ieri la sua decisione di cessare da qualsiasi costruzione negli insediamenti per i prossimi dieci mesi: un altro seme di dissenso all’interno del suo popolo mentre già ci si macera su Gilad, ma anche una prova di diligenza, un dono che ingrazierà il consesso internazionale.
Hamas intanto, malizioso, rimanda la decisione su Shalit a dopo lunedì, alla fine della Festa del Sacrificio, mentre si incrociano ordini e contrordini da Damasco e dal Cairo, il mediatore tedesco si mette le mani nei capelli, i genitori di Shalit usano ogni minuto e la loro eroica fede senza fine nel bussare alle porte dei politici e dei rabbini perché si pronuncino per lo scambio. Sono anche le ore in cui Roni Karman, Yossi Mendelevich, Yossi Tzur, i genitori di tre ragazzi uccisi nel marzo 2003 sull’autobus numero 37 di Haifa chiedono all’Alta Corte di opporsi alla liberazione degli assassini.
È giusto o sbagliato che la vita di un soldato di leva valga quanto il disperdere per il mondo tanta ingiusta ferocia? Giusto liberare Ibrahim Hammed, leader militare di Hamas in Cisgiordania, che ha ucciso negli attacchi da lui organizzati 76 persone? O Abdullah Barghouti “l’ingegnere”, che ha confezionato quasi tutti gli ordigni che hanno seminato stragi a Gerusalemme fra il 2001 e il 2003? Le sue vittime, al ristorante Sbarro, alla “Caffetteria” dell’Università di Monte Scopus, sono almeno 46. O Abbas Sayed, che organizzò l’attacco suicida di Natanya nel 2002, in cui furono uccisi 30 israeliani, fra cui molti vecchi sopravvissuti alla Shoah che celebravano insieme alle famiglie la cena rituale di Pasqua, e tanti altri ancora.
Nella lista il più famoso è Marwan Barghouti, di cui si dice che, una volta uscito, sostituirà Abu Mazen, un presidente consumato. Se ciò accadesse, anche Hamas potrebbe sostenerne una candidatura unitaria dato che, una volta liberato per i suoi buoni uffici, l’antico capo dei Tanzim di Fatah gli sarà debitore. Le sue più recenti foto in carcere lo mostrano sorridente in mezzo a carcerati di vari gruppi politici. Ma Barghouti ha collezionato ben cinque ergastoli, è il vero organizzatore, da noi intervistato più volte a Ramallah, della seconda Intifada, un uomo di Arafat che inventò e controllò per lui la logistica dei terroristi suicidi e delle loro cinture. Barghouti, se liberato, può sostituire Abu Mazen, certamente, ma non è detto affatto che porti la pace.
Il nodo non è politico, è morale. Cos’è giusto? Israele compirà lo scambio impossibile, ogni soldato deve essere certo di essere salvato se cade in prigionia. È giusto che un mondo così piccolo e abbandonato a se stesso si stringa intorno al valore della propria vita. Peccato che intorno milioni di persone prendano questa scelta come un invito a rapire e uccidere ancora.
A kidnapped soldier worth a thousand criminals?
Il Giornale, November 26, 2009
On these days, to exemplify the parable of Israel’s condition in the Middle East, you can look to the worst of all deals : the exchange of 1 innocent boy, an unexperienced Israeli army corporal, still held in cruel segregation from the day of the kidnapping in June 2006 by a gang of thugs, with 1400 Palestinian prisoners condemned by the most rigorous processes that can be ensured by justice. Among them, at least a hundred life convicts, murderers, serial killers of women and children.
Now is the time when definitive names are decided, while Israel is trying not to free the most fanatical murderers, those who probably will return to kill. But Israel is subject to two special extraordinary forces: total devotion to life and will of survival, saving the children for their parents and on the other hand, the cynicism of a world that always pushes Israel to consider giving up, as if it needed to make amends…
As in a vortex of guilt Netanyahu, right in the middle of such controversial negotiation, announced yesterday his decision to stop any construction in the settlements for the next ten months, another seed of dissent within his people, as the one concerning Gilad too, but at the same time a proof of diligence and good behavior, demanded by the international forum.
Hamas, meanwhile, mischievous, puts off the decision on Shalit to Monday, with orders and counter-orders from Damascus and Cairo. The German mediator is in shambles, Shalit’s parents using every minute, and their heroic faith, to knock on the doors of politicians and rabbis to have them ask for an exchange. At the same time Roni Karman, Mendelevich Yossi, Yossi Tzur, the parents of three boys killed in the March 2003 on number 37 bus in Haifa are asking the High Court to oppose the release of murderers.
Is it right or wrong to consider the life of a soldier worth the release of such ferocity to the world? Just letting free Hammed Ibrahim, military leader of Hamas in the West Bank, who killed in the attacks he organized 76 people? Or Abdullah Barghouti “the engineer” who prepared all ther explosives that caused bloodshed in Jerusalem between 2001 and 2003? His victims, the Sbarro restaurant, the University Cafeteria of Mount Scopus, are at least 46. Or Sayed Abbas, who masterminded the suicide bombing in a Natanya hotel in 2002, in which 30 Israelis were killed, including many elderly Holocaust survivors who celebrated together with families, the ritual meal of Passover, and many others.
In the list the most famous is Marwan Barghouti, who is said that, once released, will replace Abu Mazen. If that happens, Hamas could support a single candidate because, once Barghouti is released owing to its good offices, the former head of the Fatah Tanzim will owe them this favour. His most recent photos show him smiling in prison among inmates of various political groups. But Barghouti has collected five life sentences, is the real organizer of the second Intifada, we interviewed him several times in Ramallah. He was Arafat’s man, who invented
and controlled on his behalf the logistics of the terrorists and their explosive belts. Barghouti, if released, can replace Abu Mazen, certainly, but this means nothing at all for peace.
The node is not political, is a moral one. What is right? Israel will make the impossible exchange, every soldier must be sure of being saved if he falls into captivity. It is understandable that a country, so little and abandoned to itself, is deeply united around the value of life. Too bad that, all around, millions of people will make of this choice an invitation to kidnap and kill again.
translated by Crystal K.
http://www.fiammanirenstein.com/articoli.asp?Categoria=3&Id=2273
#2Emanuel Baroz
Soldati di Israele. Perché Gilat Shalit è tanto importante
Esistono oltre 900 memoriali in Israele; in media uno per ogni diciassette soldati uccisi (la media negli altri paesi è uno ogni 10.000 militari caduti). Israele, però, è l’unico paese al mondo dove non esiste un monumento al milite ignoto: tutti devono tornare nella propria terra, vivi o morti. Per Israele ogni soldato morto è un eroe perché Israele non può permettersi di perdere neppure una guerra: una sconfitta significherebbe semplicemente l’annientamento di quel popolo.
Come ha scritto Giulio Meotti, “tre anni di servizio militare a diciotto anni significa una cosa sola: che tutti devono difendere il paese. Anche tuo padre quando lo chiamano dalla riserva, un mese una volta l’anno, è insieme a te nell’esercito. Nel 1948 l’esercito nasce con l’ossessione del legame col popolo: vuole essere umano, egualitario, intelligente, morale.
E’ l’unico esercito [al mondo] che porti nel suo statuto una clausola che impone al soldato di disobbedire se riceve un ordine disumano”.
In proposito si può vedere questo filmato: http://www.road90.com/watch.php?id=Cx3wV3PBAx
http://www.abruzzoliberale.it/index.php?option=com_content&task=view&id=8032&Itemid=33
#3andrea fehr
La questione è straziante. Ditemi una cosa per favore. Gli assassini riconosciuti tali saranno poi totalmente liberi o andranno in prigione in territori controllati dalla c.d. Autorità Palestinese (come succederebbe al criminale Cesare Battisti se tornasse in Italia)? Temo di sapere la risposta…
#4Emanuel Baroz
purtroppo il precedente di Samir Kuntar http://www.focusonisrael.org/2008/07/18/libano-accoglienza-trionfale-per-samir-kuntar-nel-suo-villaggio-natale/ non ci fa essere ottimisti….