Parla con Hamas
D’Alema crea una crisi con Israele, dopo la strage dei ragazzi rabbini, per sperare in un posto all’Ue
di Carlo Panella
Massimo D’Alema ha aperto una vera e propria crisi diplomatica tra Israele e Italia. Ieri, infatti, l’ambasciatore Gideon Meir ha reagito alla reiterata valutazione del ministro degli Esteri circa la necessità che Israele negozi con Hamas, usando parole di inusuale forza polemica: “Chi ci invita a negoziare con Hamas ci invita semplicemente a negoziare sulla misura della bara e sul numero dei fiori da mettere sulla corona: Hamas vuole soltanto la distruzione di Israele”.
Mai, dal 1948 in poi, si era registrato un episodio di tale portata nelle relazioni diplomatiche tra Italia e Israele, neanche quando il governo italiano, nel 1973, decise di non permettere il sorvolo degli aerei americani che portavano rifornimenti al governo di Gerusalemme durante la guerra del Kippur. Né D’Alema può pensare che si tratti soltanto di una intemperanza verbale di Gideon Meir e tantomeno di una sua iniziativa personale (nonostante la Farnesina tenda ad accreditare ufficiosamente questa tesi, con prese di posizione di assoluto low profile). Poche settimane fa, per sottolineare il livello di tensione tra i due governi e la scarsa fiducia nutrita personalmente nei confronti di Massimo D’Alema, il ministro degli Esteri di Gerusalemme, Tzipi Livni, durante l’ultimo incontro tra le due delegazioni, ha interrotto bruscamente una lunga disquisizione strategica di D’Alema, ha ostentato il poiso, ha guardato l’orologio e gli ha detto: “Mi scusi, ma io ho soltanto un quarto d’ora per lei: mi dica che cosa pensa e sia conciso, per favore”.
La ragione della durezza delle dichiarazioni di ieri dell’ambasciatore israeliano a Roma — si badi bene non è nel merito del problema, non riguarda affatto l’opportunità o meno della trattativa con Hamas, ma è provocata dall’irritazione israeliana per le evidenti ragioni del tutto strumentali e personali che spingono D’Alema — soprattutto nelle ultime settimane di “normale amministrazione” del suo dicastero a continuare a sbracciarsi a favore ora di Hamas, ora di Hezbollah, ora dell’Iran di Ahmadinejad. Livni e Meir, infatti, sanno benissimo che D’Alema è perfettamente al corrente del fatto che Israele sta già trattando da dieci giorni con Hamas. E’ una trattativa ormai semipubblica, anche se condotta in maniera più che riservata da Hosni Mubarak e dal suo capo dei servizi segreti Omar Suleiman. Una trattativa di tregua apertamente sponsorizzata anche dal presidente palestinese Abu Mazen. Di più, si è aperto anche un tenue spiraglio per la liberazione da parte di Hamas del caporale Shalit e i giornali israeliani danno puntualmente conto dell’intenso dibattito politico che ruota attorno a questa difficile trattativa. Un contesto di trattativa, per di più, che si inserisce in un lavoro diplomatico condotto in questi giorni dallo Yemen (dove si è recato il capo di Hamas, Khaled Meshal), che punta — una volta siglata una tregua di fatto tra Israele e Hamas — ad aprire la strada a una qualche forma di accordo per un modus vivendi tra i due governi palestinesi, quello di Gaza e quello di Ramallah. Uno sforzo diplomatico complesso, che di tutto ha bisogno, tranne che di estemporanei interventi frondisti della diplomazia di uno dei più importanti paesi europei.
Perché allora D’Alema ha scelto in maniera provocatoria di “mettere i piedi nel piatto”, e questo, per di più, proprio nel momento del più tragico lutto in Israele, auspicando trattative con Hamas dopo che questo gruppo aveva rivendicato a sé “l’onore dell’azione contro la scuola rabbinica di Gerusalemme” in cui terroristi palestinesi hanno massacrato otto adolescenti? La risposta a questa domanda spiega la violenza verbale della posizione israeliana: è evidente che D’Alema continua a proporre negoziati con Hamas e Hezbollah perché pensa a conquistare il voto dei paesi del fronte antisraeliano dell’Ue per concorrere alla carica di “ministro degli Esteri” dell’Unione. D’Alema pensa a Cipro, a Malta, alla Finlandia, alla Slovenia, ai paesi nordici, che dispongono di voti numericamente utili per quando, tra pochi mesi, sarà attuata la riforma delle istituzioni dell’Ue e l’alto rappresentante della Politica estera e della sicurezza comune — carica oggi di Javier Solana — assumerà anche i compiti del commissario Ue alle Relazioni esterne, Benita Ferrero-Waldner. Costretto nel ‘ridotto della Puglia”, obbligato a una presenza elettorale in Campania che gli darà dispiaceri, D’Alema punta a uscire dall’angolo rilanciandosi sulla scena internazionale, con la conquista di una qualche postazione di rilievo. Da qui la gaffe.
(Fonte: Il Foglio, 14 Marzo 2008)
#1Nefesh
E come dimenticare quello che disse Occhetto quando Israele fece fuori quell’assassino di Yassin?
24 Marzo 2004
OCCHETTO: L’EFFETTO SU MOLTI CREDENTI PALESTINESI
«Come se avessero ucciso il Papa»
NAPOLI. «Per molti credenti è come se in Italia avessero ucciso il Papa». Così il senatore Achille Occhetto, a Napoli per partecipare ad un convegno sulla legalità, ha risposto ai giornalisti sull’uccisione dello sceicco Yassin. «È un fatto che ci deve preoccupare molto – ha spiegato Occhetto – perché si tratta di una autorità religiosa. A noi fa meno effetto, ma è come se in Italia avessero ucciso il Papa. Ripeto l’uccisione dello sceicco è un fatto gravissimo». «Occhetto, con le sue dichiarazioni, di fatto legittima le logiche del terrorismo islamico portate avante dallo sceicco Yassin. È incredibile e vergognoso l’accostamento con il Papa». Così Federico Bricolo, vicepresidente della Lega Nord a Montecitorio e Massimo Polledri hanno commentato le parole del senatore sull’uccisione di Yassin da parte degli israeliani. «Noi condanniamo ogni tipo di terrorismo, per noi sono tutti pericolosi. Siamo contro i terroristi senza se e senza ma. Yassin era – aggiungono i deputati leghisti – un vero regista del male, ha seminato odio, morte e istigato generazioni di kamikaze. Non è morto solo un nemico della pace in palestina, ma anche un nemico di tutto l’Occidente»