Acqua: “È Israele che rispetta i patti, a differenza dei palestinesi”
La gestione delle risorse idriche fra israeliani e palestinesi si basa su un accordo ad interim fra le due parti, e in particolare sull’articolo 40 dell’Allegato III che concerne la questione dell’acqua dolce e delle acque reflue. Secondo tale accordo, ai palestinesi spettano ogni anno 23,6 milioni di metri cubi di acqua. All’atto pratico, essi hanno accesso ad una quantità di acqua almeno doppia di questa cifra.
Israele ha rispettato tutti i suoi obblighi previsti dall’accordo sull’acqua riguardo alle forniture di quantità addizionali ai palestinesi, superando anche largamente le quantità obbligatorie. I palestinesi, per contro, hanno significativamente violato i loro impegni previsti dall’accordo sull’acqua, con particolare riguardo a questioni importanti come lo scavo illegale di pozzi (ne hanno scavati più di 250 senza autorizzazione da parte della Commissione Congiunta sull’Acqua) e la gestione delle acque reflue (i palestinesi non costruiscono impianti di trattamento delle acque reflue nonostante il loro impegno a farlo e i cospicui fidanzamenti internazionali stanziati a questo scopo).
I dati relativi al consumo di acqua dolce naturale mostrano chiaramente il trattamento corretto da parte di Israele delle esigenze palestinesi. Nel 1967 il consumo israeliano pro capite di acqua dolce naturale era di 508 metri cubi all’anno. Nel 2008 tale consumo è vistosamente sceso a 149 metri cubi per persona all’anno. Le cifre palestinesi per lo stesso consumo sono passate da 86 metri cubi nel 1967 a 105 nel 2008.Israele si è offerto di fornire ai palestinesi acqua desalinizzata, ma questa opzione è stata sistematicamente respinta per ragioni politiche.
Mentre dal 1967 Israele ha significativamente ridotto il suo uso di acqua fresca naturale, ridimensionando in modo consistente il gap fra consumo israeliano e palestinese, non si capisce in base a quali elementi reali Amnesty International possa parlare di “politiche discriminatorie” verso i palestinesi.
Gli autori del rapporto hanno scelto di ignorare tutti i dati, i documenti e i rapporti di parte israeliana, sebbene contengano fatti verificabili presentati in totale trasparenza. Questo discutibile approccio, che consiste nel trascurare sistematicamente il materiale di fonte israeliana facendo assegnamento esclusivamente sulle accuse palestinesi, suscita seri dubbi sulle reali intenzioni degli autori del rapporto e dell’organizzazione stessa che lo firma.
(Comunicato del portavoce del ministero degli esteri israeliano, 27.10.09)
#1Marco
Ma perche’ gli israeliani stanno tanto sul cazzo? Quali sono le profonde ragioni politiche?
#2Emanuel Baroz
Sinceramente ho iniziato a pensare da un pò di anni a questa parte che il problema sia semplicemente di prezzo: evidentemente gli altri pagano……
#3Andrea
@Marco:
risposta semplicissima: nel ’48 gli arabi pensavano di liquidare la questione in 5 minuti…. e hanno attaccato in 5 conto 1 (azione SPROPOSITATA? Baffetto dove sei?).
Da allora hanno rimediato solo figure di cacca.
Vai a vedere la cartina geografica: un minuscolo lembo di deserto (pagato a peso d’oro e fatto rifiorire) abitato da gente tenace ha messo in scacco tutto l’ex impero ottomano.
Davide contro Golia……
#4luca cesana
Emanuele, hai ragione ma, purtroppo, non è l’unica ragione.
Le altre sono decisamente più inquietanti.
#5Emanuel Baroz
MO: ‘AMNESTY E’ PER JIHAD’, BOTTA E RISPOSTA MAARIV-ONG
(ANSA) – TEL AVIV, 6 APR – Aspro botta e risposta fra Maariv, uno dei quotidiani più diffusi in Israele, e Amnesty International. Ad innescare la polemica è stato il tabloid di Tel Aviv che ha oggi aperto la sua prima pagina con un titolo a caratteri cubitali: ‘Amnesty e’ per la Jihad’. Nel testo il polemista Ben-Dror Yemini riassume la polemica infuriata ai vertici di Amnesty per la cooperazione con Moazzam Begg, un ex internato di Guantanamo definito dalla stampa “il più famoso sostenitore dei Talebani in Gran Bretagna”. Yemini scrive che il segretario generale (ad interim) di Amnesty Claudio Cordone ha difeso la cooperazione con Begg in materia di diritti umani e ha invece sospeso una dirigente della sua Ong, Gita Shagal, che lo biasimava. Yemini attacca Cordone per, dice, la sua giustificazione teorica di una “Jihad (guerra santa) difensiva” e lo accusa di aver adottato una linea di “sofisticata ipocrisia”. In un comunicato inoltrato all’ANSA il direttore generale di Amnesty international in Israele Itay Epstein ha subito respinto le accuse affermando che Yemini travisa le posizioni di Cordone. Amnesty fa infatti riferimento solo alle posizioni personali di Begg “che non sono violente e non sono favorevoli ad attacchi contro civili”. In ogni caso, si legge ancora nel comunicato, “Amnesty non sostiene affatto la Jihad, e si oppone all’uso della violenza”.