D’Alemmah: quell’amicizia con Hezbollah pesa come un macigno

 
Emanuel Baroz
1 novembre 2009
3 commenti

Appare incredibile ma nonostante il suo passato sembra che l’attuale Governo possa appoggiare la candidatura del sig. D’Alemmah alla carica di Ministro degli Esteri d’Europa. Chi ha avuto la pazienza nel passato di leggere le notizie da noi riportate su questo sito sa bene come la pensiamo su questo individuo, che a nostro parere non è in grado di ricoprire una carica così importante a causa della sua scarsa capacità di apparire imparziale ed obiettivo quando si occupa di ebrei o di israeliani e palestinesi.

D’Alemmah: quell’amicizia con Hezbollah pesa come un macigno

di Fiamma Nirenstein

focus on israel dalemmahMassimo D’Alema commentando ieri l’ipotesi che egli, ex ministro degli esteri italiano diventi ministro degli esteri europeo, secondo Repubblica ha detto una delle sue frasi classiche, quelle in cui da del cretino a un po’ di gente: «Una nomina italiana a ministro degli Esteri d’Europa è una questione di grande interesse nazionale, non un pastrocchio da piccolo interesse di bottega. Se qualche imbecille non lo capisce, peggio per lui». Ha ragione. E io sono, mi sembra, fra questi imbecilli.

Una scelta per D’Alema implica una quantità di piani politico-ideologici: parla di scelte che riguardano la politica italiana; di Weltanschaung, la sua visione del mondo; delle attuali scelte degli italiani per l’Europa. Non c’è dunque solo la questione che è stata maggiormente messa in rilievo, il segnale di buona volontà fra le parti politiche, la buona novella che quando si tratta dell’interesse nazionale si deve e si può sotterrare un’ascia di guerra ormai insanguinata. Da questo punto di vista sarebbe una buona cosa che tutti concordassero su una candidatura italiana quale che ne sia la parte politica.

Ma c’è di mezzo l’Europa e il messaggio che l’Italia le vuole lanciare in un momento che non è delicato solo per noi, ma per il Vecchio Continente alla ricerca di ruolo, di spazi, di significato. Durante la sfortunata discussione che ha portato all’esclusione di Tony Blair dal ruolo di premier europeo, il primo ministro ungherese Gordon Bajnai l’ha detto chiaramente: forse innanzitutto dovremmo definire il contenuto che attribuiamo al ruolo, e poi scegliere l’uomo di conseguenza. Tony Blair è stato, credo, messo da parte per il suo altissimo profilo, perché la sua storia di sostegno alla guerra in Iraq, la sua figura energica e aggiornata nella lotta al terrorismo non corrisponde a un’attitudine ancora volutamente fumosa e tecnocratica dell’Europa, di queste 27 nazioni in cerca d’autore che non sanno ancora dove sono dirette e quindi scelgono spesso l’ovvio rispetto alla politica.

Date la dinamica per cui la cancellazione di Blair dalla presidenza consente ai socialisti europei la poltrona del ministro degli esteri, è apparso, fra altri candidati importanti, anche il nome di D’Alema. Ora D’Alema ha sicuramente un curriculum straordinario per le sue qualità di politico e per le magnifiche sorti e progressive della nostra sinistra: la sua caratterizzazione riguarda, e penso che lui stesso concorderebbe, molto di più il suo spirito che le sue idee, e disegna di fatto un personaggio molto peculiare, con tratti che lo rendono contrapposto a quelli che potrebbero essere oggi i fini ideali dell’Italia in Europa.

L’attuale elettore del governo in carica è nettamente atlantista, la politica estera che suggerisce nasce in contrapposizione netta con quella del governo Prodi e con quella di D’Alema; rompe, anche se ha un grande interesse per il mondo arabo e per il Mediterraneo e vi costruisce alleanze, con la antica politica andreottiana, la sua politica non è di «equivicinanza», come tante volte ha proclamato D’Alema, perché non ci può essere la stessa distanza con una democrazia e con una dittatura.

L’anno scorso a un convegno dell’Aspen il ministro Franco Frattini e Massimo D’Alema ebbero a discutere della questione israeliano-palestinese: il fine era due stati per due popoli, ma Frattini aveva un’evidente propensione a considerare Israele parte del suo, del nostro paesaggio interiore e i palestinesi responsabili di ogni futuro sviluppo di un processo di pace, mentre per D’Alema cadeva su Israele tutto l’onere della pace e sui palestinesi brillava la stella dell’innocenza.

Per D’Alema Arafat è stato un amico, mai ha condannato le sue responsabilità nell’Intifada del terrore e del rifiuto di Camp David; il fatto che gli Hezbollah avessero rappresentanti in parlamento li rese per il suo giudizio esenti dall’accusa di terrorismo, e glieli ha fatti scegliere come compagni nella famosa passeggiata di Beirut dopo la guerra del 2006; icona, mi dispiace, indimenticabile. Quanto a Hamas, D’Alema conosce le cronache del terrorismo e ne ha certo letto anche la Carta antisemita, pure ha ripetuto alquanto che occorre dialogarci e pensa di estrarne accordi, di nuovo perché sono stati eletti.

Una visione impraticabile politicamente nell’era della diffusione di massa dell’estremismo islamico; inoltre Hamas proprio per iniziativa italiana è stato collocato nella lista delle organizzazioni terroriste. L’invincibile profonda convinzione di un torto originario di Israele è forse quello che porta D’Alema a chiamare la guerra di difesa israeliana a Gaza «spedizione punitiva» anche se ha sempre ritenuto invece che i 500 morti civili serbi sotto le bombe Nato siano stati legati a una guerra giusta, quella voluta anche da lui.

L’Europa ha davanti responsabilità colossali: l’Iran ci sfida con indicibile arroganza, il terrorismo internazionale e ci inonda di sangue in Afghanistan e in Pakistan, come è accaduto la settimana scorsa, Hamas rifiuta l’accordo don Abu Mazen… se D’Alema sarà il ministro degli Esteri Europeo, se vale la speranza che questo ristabilisca qualche concordia a casa, una volta che poi egli compia le scelte che gli sono tipiche, stavolta come ministro degli Esteri europeo, non creerà questo invece un insanabile scontro di visioni del mondo nell’ambito dell’Europa stessa e proprio fra noi italiani?

Fiamma Nirenstein

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  • #1Emanuel Baroz

    IL “FINANCIAL TIMES” IGNORA L’EX PREMIER E NON LO INSERISCE NELLA ROSA DEI “PAPABILI”

    Dal “Corriere della Sera” – Massimo D’Alema? Non è tra i papabili candidati alla poltrona di ministro degli Esteri della Ue. Questa almeno è l’analisi che traccia il «Financial Times». In un articolo, ieri, il quotidiano inglese ha indicato David Miliband come favorito, ma ha esaminato anche la rosa di numerosi altri socialdemocratici in corsa: l’ex ministro tedesco Frank-Walter Steinmeier, lo spagnolo Miguel Angel Moratinos, l’ex ministro francese Elisabeth Guigou, l’ex cancelliere austriaco Alfred Gusenbauer e l’ex ministro romeno Adrian Severin. D’Alema non è stato citato dal giornale tra i favoriti alla nomina.

    (Fonte: Dagospia)

    3 Nov 2009, 10:39 Rispondi|Quota
  • #2Emanuel Baroz

    DAGO-REPORT: A BRUXELLES UN ‘CALDO’ DOSSIER BNL-UNIPOL PER STOPPARE LA NOMINA

    Il Mago Dalemix, nell’accettare la candidatura a titolare della politica estera europea, non aveva fatto i conti con la brutta vicenda delle intercettazioni sul caso BNL-Unipol, per le quali il Parlamento Europeo ha respinto meno di un anno or sono la richiesta della Procura di Milano di poter procedere a suo carico. E ora nei corridoi di Bruxelles gli addetti ai livori sussurrano che alcuni europarlamentari (non italiani) stanno tirando fuori nuovamente il dossier, per darlo in pasto alla stampa europea e sottolineare l’inopportunità della nomina…

    (Fonte: Dagospia)

    3 Nov 2009, 10:39 Rispondi|Quota
  • #3Emanuel Baroz

    IL PALLINO È IN MANO A DAVID MILIBAND

    Laura Cesaretti per Il Velino – ….in ballo c’è una partita delicata come quella della nomina di D’Alema a Mister Pesc. Una nomina la cui sorte dipende sia dalle scelte del ministro degli Esteri inglese David Miliband, vero concorrente del candidato italiano, sia dall’effettivo impegno del governo nel sostenerla. Per giocare la partita, D’Alema è costretto a mosse assai caute sul fronte interno, per evitare un’offensiva “anti-inciucio” che lo indebolirebbe e che danneggerebbe anche il nuovo segretario del Pd.

    Per questo è stato ben attento a guadagnarsi la non ostilità di Repubblica, cui ha concesso un rassicurante colloquio per spiegare che non avallerà alcuno scambio indebito con Berlusconi. Intanto, però, sa di essere ancora appeso alle decisioni di Miliband, che all’importante incarico europeo potrebbe preferire la leadership interna dei Laburisti.

    Perchè se invece il ministro britannico deciderà di restare in pista, col forte supporto del suo governo, per non spaccare il Pse uno dei due sarebbe costretto a ritirarsi. Ed è probabile che toccherebbe a D’Alema.

    (Fonte: Dagospia)

    3 Nov 2009, 10:40 Rispondi|Quota
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