Il diktat dell’Egitto al suo bomber: «Se vai in Israele addio nazionale»
A distanza di oltre quarant’anni gli echi della Guerra dei Sei Giorni rivivono nell’unico scenario in cui il suono delle armi e il livore della contesa dovrebbero lasciar spazio al fair play e alla sana passione sportiva. Accade così che un calciatore egiziano, il centravanti della nazionale Amr Zaki, venga letteralmente minacciato dalla federazione del Cairo per essere prossimo alla firma di un contratto con una squadra del campionato di Israele.
Zaki, 26 anni, l’ariete che ha soffiato il posto in nazionale all’ex romanista Mido Hossam, è reduce da una stagione tra luci e ombre in Premiership con la maglia del Wigan. I continui litigi con il tecnico Steve Bruce hanno indotto il club a non rinnovargli il contratto. Da settembre si allena al Cairo nello Zamalek, la squadra dei suoi esordi e dell’omonimo quartiere residenziale, in attesa di trovare un accordo con un club europeo.
L’offerta più vantaggiosa è arrivata sabato scorso dal Beitar di Gerusalemme, compagine della Cisgiordania (DELLA CISGIORDANIA?! Ma come si fa a scrivere una cosa del genere!….)che vanta il maggior numero di trofei in bacheca.
La notizia, apparsa sulla stampa israeliana, ha scatenato le ire della federcalcio egiziana che ha invitato il giocatore a non firmare con il Beitar, minacciando di depennarlo dalla nazionale che sarà impegnata a gennaio nella Coppa d’Africa in Angola. Zaki sarebbe il primo calciatore egiziano a trasferirsi nello stato con la Stella di Davide dopo il conflitto che nel giugno del 1967 provocò la morte di oltre 20mila persone, rafforzando Israele nello scacchiere internazionale e costringendo gli arabi a fare i conti con la sua presenza.
L’attaccante e il suo agente hanno preso tempo, ma va anche detto che Zaki non è nuovo a situazioni in cui il pallone diventa marginale rispetto a deprecabili dispute razziali. Nei mesi scorsi infatti rifiutò un’offerta dagli inglesi del Portsmouth giustificandosi, senza tanti giri di parole, di non essere disposto a giocare per una squadra allenata da un ebreo, l’ex tecnico del Chelsea Avraham Grant, e che schiera in campo un altro israeliano, Tal Ben Haim, dimenticando però che il proprietario dei Pompey è il petroliere saudita, quindi musulmano, Ali Al-Faraj. L’improvviso cambio di rotta e il desiderio di trasferirsi in Israele sarebbe quindi da accollare al denaro che ha finito per prevalere su ideali comunque discutibili.
(Fonte: Il Giornale, 10 dicembre 2009)
#1andrea fehr
Non c’è limite all’ipocrisia degli arabi