La nave Marmara alla marina di Israele: “Tornate ad Auschwitz”
TEL AVIV – “Tornate ad Auschwitz”: questa la risposta lanciata via radio dalla nave passeggeri turca Marmara quando nella notte di domenica la marina israeliana ha cercato di indurla a desistere dal suo intento di raggiungere Gaza.
Lo ha riferito la televisione israeliana di Stato, sulla base di una registrazione delle comunicazioni radio ottenuta dal portavoce militare e pubblicata su Youtube. In seguito ad un nuovo appello della marina israeliana a cambiare la rotta, l’uomo che era all’apparecchio radio della Marmara ha detto: “Noi aiutiamo gli arabi a combattere contro gli americani. Non dimenticate l’11 settembre”.
Sulla base di informazioni di intelligence, la televisione di Stato ha aggiunto che a bordo della Marmara c’erano attivisti di Hamas, di al Qaida e dei movimenti internazionali della Jihad (guerra santa islamica). L’emittente ha fatto in merito due nomi: Adam Sakuz e Talal Albo. Il primo è stato presentato come guardia del corpo del leader della Ong turca Ihh, Bulent Yildirim. Sakuz, secondo la televisione israeliana, mantiene contatti con al Qaida ed è salito sulla Marmara fingendosi giornalista. Albo, ha aggiunto, è un esponente di Hamas. Israele è stata “costretta” a rimettere in libertà questi ed altri passeggeri della Marmara sospettati di contatti con il terrorismo internazionale in seguito ad una richiesta perentoria ed ultimativa del governo di Ankara.
(Fonte: ANSA, 4 giugno 2010)
Nella foto: l’assalto ai militari israeliani da parte dei “pacifisti”, attuato con mazze, catene, granate stordenti, bottiglie rotte e altri oggetti contundenti, ripreso dalla telecamera interna della Mavi Marmara
#1Giusy Conti
Tornate ad AUSCHWITZ………
Ed hanno proprio ragione. Hanno sbagliato gi grosso questa volta e dovrebbero pagare. Non ci si apettano questi atti intolleranti quando si cerca di trovare uno sbocco per la pace nel mondo. Allora di certo questa pace non si vuole ed tutta una messa in scena. Vergogna per Israle.
#2Daniele
I «pacifisti» italiani sulla nave? Antisemiti che negano l’Olocausto
Pacifisti? Opinabile. Antisemiti? Piuttosto difficile negarlo, anche se si industriano in tal senso con prose contorte sul web. Una visita al sito di TerraSantaLibera è comunque assai istruttiva. Può servire, ad esempio, a meglio comprendere chi sia la signora Angela Lano, sedicente pacifista che si trovava a bordo della nave turca «Mavi Marmara» presa d’assalto una settimana fa dagli incursori israeliani. O l’altro militante Giuseppe Fallisi.
La signora Lano, direttore dell’agenzia di stampa Infopal.it, è collaboratrice, come Fallisi, di TerraSantaLibera. Infopal.it non fa grandi sforzi per apparire imparziale rispetto alla questione palestinese: per loro ci sono dei cattivi assoluti (Israele) e delle vittime innocenti per definizione (i palestinesi). I loro collegamenti con Hamas, che ovviamente non considera un’organizzazione terroristica, sono documentati. Meno spesso si parla dei toni di odio antisemita che Infopal utilizza, e che come riporta il Foglio hanno spinto un personaggio come Mariano Mingarelli, leader di lungo corso della militanza filopalestinese in Italia, a prendere le distanze dalla Lano. Annunciando la propria rottura con Infopal, Mingarelli ha detto riferendosi alla sua direttrice: «Non voglio certi nomi accanto al mio». Stessa scelta hanno fatto gli antisionisti della rete Ebrei contro l’Occupazione.
Ma TerraSantaLibera.org merita sul serio una visita. Non tanto per gli insulti che vi si rivolgono al Giornale, pure interessanti. Piuttosto perché vi si trovano perle di antisemitismo davvero rare. Un sito sul quale Carlo De Benedetti, che sulla Repubblica ha appena ospitato un lungo articolo-reportage a firma Lano, viene qualificato di «ebreo sionista» o anche definito, con inconfondibile stile nazistoide, «l’ebreo De Benedetti». Un sito nel quale aleggia un clima negazionista dell’Olocausto e sul quale si rinvengono inviti a «investigare sull’11 Settembre» (il sottinteso rimanda alla leggenda del complotto ebraico), interviste e brani firmati da noti negazionisti come Roger Garaudy e Robert Faurisson. Dove si sostiene che l’Italia «è in mano ai più fedeli camerieri di Sion».
Ma non è tutto. Su TerraSantaLibera, che pretende di ispirarsi alla dottrina cattolica, il più celebre falso d’ispirazione antisemita della Storia viene soavemente definito «i cosiddetti falsi Protocolli di Sion» e l’ignobile opera complimentata per la sua «lungimirante lucidità». Vi si possono scaricare saggi negazionisti dei francesi Paul Rassinier e Serge Thion (quest’ultimo cacciato per attività antisemite dal Cnr francese). Appellandosi alla libertà di espressione garantita dalla Costituzione vi vengono ospitati appelli alla cacciata dei «luterani-sodomiti» da una chiesa veronese loro concessa in uso dal vescovo locale. Non mancano le preghiere «per i perfidi giudei» (evidentemente ignorando che il Papa è stato di recente nella sinagoga romana in visita di amicizia) e la pubblicità di irrinunciabili testi come «Dal giudaismo rabbinico al giudeo-americanismo – il problema dell’ora presente» di un certo don Nitoglia e «Il martirio di padre Tommaso per mano giudaica», scritto nel 1896 ma evidentemente considerato di stretta attualità. Presente anche una “spiritosa” immagine di Gianfranco Fini e Gianni Alemanno con zucchetto ebraico in testa e il commento-didascalia «Piccoli neo-convertiti crescono e diventano rabbini».
#3Emanuel Baroz
Le persone come Giusy mi fanno proprio pena…..ottenebrate dal proprio odio antiebraico non riescono ad analizzare i fatti con la giusta obiettività. Che peccato….
#4Alberto Pi
A proposito di Angela Lano e di Infopal:
«Lascio Infopal, troppi antisemiti»
Il leader della onlus Italia-Palestina, Mario Mingarelli, rompe con l’agenzia di stampa coinvolta nei fatti di Gaza. Le sue dimissioni, prima dell’attacco israeliano
FIRENZE – Mariano Mingarelli è da sempre, da quando è stata fondata, il presidente dell’«associazione di amicizia italo-palestinese». Da sei anni. Mingarelli, che di anni ne ha quasi settanta, ha deciso che è necessario un ricambio al vertice. Di farsi insomma da parte, non di uscire dalla onlus che in questi anni ha promosso tantissime iniziative culturali e raccolte fondi per la Palestina. Mingarelli spera in un ricambio generazionale e intanto si è tolto un peso.
Si è dimesso dall’agenzia di stampa «Infopal» di cui la direttrice è Angela Lano, una fra le attiviste e attivisti che lunedì notte era a bordo delle navi che volevano portare aiuti umanitari a Gaza, ma che sono stati attaccati e poi arrestati dall’esercito israeliano. I fatti dei giorni scorsi non c’entrano niente, ma Mingarelli il 26 maggio ha comunicato alla direzione di Infopal le sue dimissioni dal comitato di consulenti. Motivo? La presenza di intellettuali, affiancati al suo nome che, secondo Mingarelli, hanno atteggiamenti antisemiti, negazionisti o comunque troppo aggressivi nei confronti di Israele. «Da un’amica ebrea che fa parte della rete contro l’occupazione ho ricevuto la notizia che diverse persone all’interno di Infopal sono vicine alla destra, antisemite — spiega il presidente dimissionario della onlus fiorentina — e che il loro appoggio alla causa palestinese non è il fine, ma lo strumento. Per questo non volevo che il mio nome fosse accostato a loro e mi sono dimesso».
Mingarelli per Infopal in questi anni non ha fatto altro che tradurre testi o pubblicazioni dei giornali arabi o di scrittori palestinesi «senza mai commentare», dice: «Non rinnego la funzione di Infopal che considero una fonte di notizie importantissima e al cui interno ho molti amici. Quando mi chiesero di fare parte della redazione diedi la mia disponibilità, ma non ho mai guardato le persone che ci entravano. Già Magdi Allam a suo tempo mi citò per questa cosa e allora non volevo che a rimetterci fosse poi la nostra associazione». Mingarelli conosce Angela Lano. Conosce bene Israele e la Palestina. Nei giorni precedenti all’attacco dell’esercito israeliano alla flottiglia di attivisti, lui aveva previsto tutto. Gli chiediamo come e soprattutto se tra i motivi delle sue dimissioni ci fosse anche la presenza della Lano. Se anche la direttrice di Infopal è tra coloro che Mingarelli giudica antisemiti.
«Credo che la Lano non abbia più di un atteggiamento aggressivo — spiega — a volte può essere naturale quando si ha a che fare con chi nega la verità e la realtà lampante dei campi dove gli israeliani razionano cibo e ogni genere di materiale. Non credo che sia più di questo. Ribadisco che Infopal è preziosa, le informazioni che trasmette sono attendibilissime. Ma al suo interno ci sono alcuni intellettuali, chiamiamoli così, con posizioni antisemite o comunque che non mi trovano d’accordo. Perché sapevo che ci sarebbe stato l’assalto? Gli israeliani avevano dichiarato che ogni tentativo di sbarco a Gaza sarebbe stata considerata un’aggressione. Su quelle navi c’erano solo viveri, case prefabbricate e materiale scolastico. Niente di più. Però, come facevo con Infopal e come faccio con la nostra associazione, non esprimo giudizi. Fornisco informazioni. Dare suggerimenti è già manipolare».
Alessio Gaggioli
03 giugno 2010
http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2010/3-giugno-2010/lascio-infopal-troppi-antisemiti-1703134693870.shtml
#5Sharon
Ma questi video li avete visti????
http://www.youtube.com/watch?v=gYjkLUcbJWo&feature=player_embedded
http://www.youtube.com/watch?v=bU12KW-XyZE&feature=player_embedded
#6Daniele
Cara Giusy,
a proposito di pace, ieri con l’arrenbaggio alla “Carrie” ho visto la differenza tra un imbarcazione di pacifisti veri, con cui sono in disaccordo ma di cui rispetto il diritto ad avere un opinione diversa, e un imbarcazione di fanatici estremisti islamici affiliati ad hamas.
Tu la vedi la differenza?
#7Ruben DR
“Go back to Auschwitz”
di Ugo Volli
Piccola riflessione ad uso di quanti si interrogano ancora sul perché gli ebrei italiani, tradizionalmente progressisti, si siano spostati a destra.
Vi è stata nei giorni scorsi una correlazione quasi matematica fra la collocazione politica dei giornali e dei politici e il loro atteggiamento rispetto all’azione dei teppisti che si sono organizzati militarmente sulla nave turca Marmara per provocare il massimo dei tumulti al momento del preventivato blocco israeliano. Tanto più a sinistra era schierato un giornale o un politico dichiarante, tanto più facilmente si è bevuto la propaganda islamista, tanto più si è rifiutato di riconoscere i fatti anche di fronte ai video più eloquenti, tanto più si è indignato, ha condannato Israele, ne ha profetizzato la vicina scomparsa allineandosi ad Ahmadinejad, tanto più ha infine accostato la condanna a Israele a quella degli ebrei, trovando del tutto naturale andare a manifestare al ghetto di Roma e alle sinagoghe nel resto d’Italia.
Ma anche le parti più istituzionali e “riformiste” dello schieramento di sinistra hanno pensato bene di manifestare davanti all’ambasciata israeliana. Gira in rete un video in cui una dirigente sindacale si riferisce a Israele dicendo “quei bastardi” e poi dice “magari mi prenderanno per razzista”.
Eh già… Solo le destre più estreme e semiclandestine, le schegge neonaziste vere e proprie, hanno avuto riflessi condizionati anti-israeliani pari a quelli della sinistra.
Con le opportune differenze questa stessa proporzione vale anche nel mondo ebraico, con gli ebrei di estrema sinistra del tutto allineati alla propaganda anti-israeliana dei loro compagni, quelli di sinistra un po’ meno estrema dolenti e scandalizzati, spesso profetizzanti la fine di Israele per mano della sua improvvida classe dirigente.
Ammettiamo pure che in questo gioco di opinioni e dichiarazioni tutti siano stati sinceri e abbiano semplicemente reagito per come capivano quel che fosse successo, cioè per come interpretavano le informazioni disponibili a tutti, evitiamo cioè di pensare a calcoli politici o malafede. Come si spiega questo fatto? E’ forse necessario applicare qui un vecchio principio dell’ermeneutica: ogni giudizio viene formulato applicando a ciò che si conosce, quel che già si crede, si vuole, si sa (o si crede di sapere).
L’orizzonte delle aspettative e delle credenze dell’interprete contribuisce insieme ai fatti a determinare la sua interpretazione. Anzi, i fatti stessi vengono percepiti a seconda del proprio orizzonte interpretativo.
Dunque, se tutta la sinistra ha visto nella faticosa e rischiosa azione del commando israeliano per prendere il controllo di una spedizione mirante a dar mano libera ad Hamas nient’altro che “un’aggressione”, “un arrembaggio”, “una strage”, “un crimine”, “un assassinio” eccetera eccetera, e se non ha visto invece la dimensione aggressiva non solo dei teppisti che accoglievano a sprangate i soldati israeliani scesi sulla nave quasi disarmati per evitare incidenti, ma del sostegno ad Hamas – questo mostra che il suo orizzonte di attesa nei confronti di Israele è del tutto negativo, che essa pensa davvero che si tratti di “uno stato canaglia”, come ha scritto “Liberazione” (sempre con le diverse nuances fra destra e sinistra, fra sinistra ebraica e sinistra politica generale).
Solo un’antipatia e una sfiducia radicata per Israele e in prospettiva per tutto l’ebraismo possono spiegare queste reazioni. Chiamatelo se volete “solo” antisionismo o prendete atto che si tratta di un sia pur tendenziale antisemitismo. Resta il fatto che la sinistra, quasi tutta la sinistra, con solo qualche differenza di accento, ce l’ha se non proprio con gli ebrei, con qualcosa cui gli ebrei tengono moltissimo e con cui si identificano. Che essa considera con antipatia il nostro sogno secolare di realizzare il carattere di popolo attraverso uno stato, dunque un territorio legato da sempre alla nostra identità. Che pensa che la nostra terra sia “rubata”, come si esprime anche qualche ebreo (di estrema sinistra). Che ritiene “un errore”, “una provocazione al mondo arabo”, l’esistenza dello Stato di Israele.
Gli ebrei di sinistra, almeno quelli moderati, cercano nei limiti del possibile di suggerire faticosi distinguo e complesse forme di mediazione. Preferiscono pensare che col ritorno ai confini del ’49, intorno a cui sono nate tante guerre e terrorismo, la situazione miracolosamente si acquieterà. Ma la loro parte politica, con tutta evidenza, non li ascolta, dalla base al vertice ha interiorizzato il proprio pregiudizio su Israele, la sua classe dirigente, la sua cultura e in definitiva sull’ebraismo, salvo un minimo velo di ritegno verbale su quest’ultimo punto – forse per via di un “credito” accumulato ad Auschwitz, che come ha scritto una lettera incredibilmente pubblicata sull’Unità “è in via di esaurimento”. All’azzeramento del conto, immagino, saremo tutti invitati a “tornare ad Auschwitz”, come si è espresso gentilmente un radiotrasmittente della flottiglia.
http://www.youtube.com/watch?v=pxY7Q7CvQPQ
Nessuna meraviglia, dunque, se sono cordialmente ricambiati.i
(Fonte: Notiziario Ucei, 6 giugno 2010)
#8Marco
Non sono ebreo o israeliano, ma ho sempre avuto simpatia per Israele, sicuramente uno dei posti che voglio visitare. Purtrtoppo io credo che ci sia stata in questo ultimo anno un importante cambiamento strategico, ovvero l’avvicinamento degli USA all’Iran con obiettivi di equilibri geopolitici fuori dal medio oriente, in prospettiva russa e di estremo oriente. Se questo cambiamento esiste (come pare) allora credo che la situazione critica per Israele diventera’ ancora piu’ pesante. Per dirla fuori dai denti, non posso credere che questo casino organizzato dalla Turchia sia passato sotto gli occhi degli americani. Posso invece pensare che ci sia una strategia sotterranea di dissuasione da iniziative militari anti iraniane, da parte di Israele, da parte degli USA che appunto, non vogliono che Israele si metta a bombardare i loro nuovi (ma in realta’ sempre esistiti) amici iraniani. La prossima volta che Israele vuole fermare le navi che vanno a Gaza, trovi una mina residuato bellico della seconda guerra mondiale.
#9Emanuel Baroz
“Tornatevene ad Auschwitz”
All’alt dei soldati israeliani, i “pacifisti” hanno gridato il loro inno alla fine ebraica
di Alessandro Schwed
Su Internet, una foto davvero insolita. Una voragine circolare apparsa a febbraio 2007, a Città del Guatemala. La grande buca è fonda come quei pozzi nei deserti la cui superficie non è cinta da pietre. Pare una bocca della Terra, spalancata in mezzo alla strada. Come se la Natura dicesse qualcosa che non sappiamo capire dato che non ci sono più gli sciamani; e anche come se, per una decisione presa in un altrove cupo, ora siamo in contatto col Male, e il Male fa giungere i suoi sussurri. Un’occhiata alla didascalia sotto la foto avverte che la buca ha un diametro di 35 m. ed è profonda 150. Così non si tratta di un condotto che porta al centro della Terra; né della sede di forze spirituali oscure; né del fremito di un vulcano sotterraneo in attesa di liberare il tappo e pervadere la superficie con oceani di lava, come in un romanzo di Verne; né del disvelarsi di una crepa della crosta terrestre, per un’imminente distruzione finale: è un crepaccio circolare che non minaccia neanche l’abitato circostante.
E’ la paura a dare paura, l’angoscia a ingannare gli angosciati. E così, l’occhio del fotografo e il nostro vedono quello che vogliono vedere – quello che la debolezza spinge a vedere: a volte, su di noi, possono più le angosce della realtà. E la Sapienza ammonisce sull’essenza del Male, sul suo potere effettivo di esser trappola (gr. diabolos, gettare attraverso), di costituirsi davanti a noi come contraddittore (ebr.: satan). Ma cosa succede quando molti cadono nell’inganno? E’ in questi giorni dopo la flottiglia pacifista e il disvelamento dell’inganno che i pacifisti poi non erano pacifisti, ma maschere del terrore – commedianti della contraddittorietà, forma di colui che contraddice – che la foto della bocca della terra è tornata da me in un freddo familiare e irreale. Perché il Male è corrente gelida della realtà, ma poi non è la realtà; semmai, può divenirlo. La foto è tornata a me, ebreo, perché è adesso che la persona ebraica è nella solitudine; è ora che risuona in me la frase lanciata dalla nave Marmara all’esercito di Israele che intimava l’alt: “Tornate ad Auschwitz”. E io credo che dal giorno di chiusura di Auschwitz, il 27 gennaio di sessantacinque anni fa, mai come ora gli ebrei hanno sentito di essere soli – se è questo il frutto della politica obamiana e della mano tesa verso Teheran, che in queste ore propone l’arrivo a Gaza di una flottiglia di pace armata sino ai denti, altro ossimoro del grande contraddittore, allora è meglio che questa politica obamiana venga rivista da cima a fondo; che la mano tesa ad Ahmadinejad sia rimessa in tasca. Altrimenti, il restante tempo del mandato presidenziale, corto o lungo che sia, è una bomba a orologeria il cui ticchettio scandisce le ore rimaste al jihad per usare la fragilità della democrazia mondiale.
E infatti è ora, in questo mandato di Obama, lungo questo fragile sforzo di dialogo con Teheran e con la Siria, che Israele e gli ebrei cominciano a sentire un’altra volta la loro millenaria solitudine, e circola quella frase fatta che “gli ebrei, con la scusa della Shoah, se ne stanno approfittando”, per poi aggiungere: “… Eccetera, eccetera…”. “Eccetera”: perché nessuno sa completare le calunnie sugli ebrei – calunnia, altra parola ebraica che corrisponde al nome dell’antico calunniatore, contraddittore, oppositore. E’ dunque di poche decine di ore fa la notizia che non sfonda. Quando l’altoparlante israeliano ha scandito il protocollo dell’alt alla nave Marmara, una voce sarcastica ha risposto: “Go back to Auschwitz”. Tornate ad Auschwitz. Parole in inglese, come sul set di un film internazionale destinato al mondo. Quella voce avrebbe potuto rispondere in arabo, in turco, gli israeliani avrebbero capito. Ma si trattava di un programma televisivo destinato all’intero pianeta, “Go back to Auschwitz”, e la frase è stata detta in inglese. Niente è casuale in quella notte, sul mare davanti a Gaza. Ogni particolare è frutto della volontà meticolosa di costruire una trappola per Israele e trasmetterne il film come una maledizione che giunga ovunque. Anche fra gli alieni, se esistono. Spirito della moderna sapienza il cui vertice nichilista e antisemita è Goebbels. Il jihad vi primeggia dal kolossal delle Due Torri, alla fiction dei cadaveri di Beirut spostati da un palazzo in macerie all’altro ed esposti davanti alle telecamere, al grandissimo successo di botteghino di “Go back to Auschwitz”. Ricordiamo che poco prima della rivolta del ghetto di Varsavia, quando la popolazione ebraica era stremata dalla ferocia del razionamento e le persone morivano sui marciapiedi, la propaganda nazista girò dei cinegiornali circolati sino a New York dove si vedevano ebrei ricchi e vestiti a festa (comparse minacciate coi fucili, come si vede in un documentario sul documentario), che scavalcavano indifferenti le decine di ebrei morti di fame e stenti sul suolo stradale. Gli ebrei ricchi e disinteressati alla morte degli ebrei poveri furono il rovesciamento della verità, operato dalla propaganda nazista: ebrei-vittime presentati come ebrei-carnefici. Nel caso della flottiglia della pace, gli ebrei, accusati da anni di nazismo a Gaza e in tutto il medio oriente, sono allo stesso tempo invitati a ritornare ad Auschwitz, intanto che sulla nave i “pacifisti” linciano i soldati.
L’audio di “Go back to Auschwitz” è emerso pochi giorni dopo che l’universale condanna a Gerusalemme si era distesa sul mondo come un’immensa coperta mediatica, da polo a polo. Ma “Go back to Auschwitz” non è divenuto informazione per far sapere chi fossero in realtà i pacifisti della Marmara. “Go back to Auschwitz” è come un documento-audio senza volume, o meglio ha un volume che riescono a sentire gli ebrei e le persone di buona volontà: da una parte la frase “Go back to Auschwitz” non ha la forza di essere sentita nella sua mostruosa evidenza antiumana, e così risalire la china dello scoop di Israele stragista; dall’altra quella stessa frase pesca silenziosamente nella palude del mondo, dove si nasconde, voluttuoso, il desiderio della fine ebraica. “Go back to Auschwitz” è uno spot genocida sparato col silenziatore. Pubblicità nazista che si fa largo con tatto paradossale in mezzo a un consenso che non ne parla ma lo lascia diffondere, vendendo a Eurabia l’arrivo di una seconda possibile Shoah. “Stiamo tornando – recita in modo subliminale lo spot – e abbiamo la soluzione – finale”. Il punto non è che i media non hanno rivelato l’approccio nazi-islamico in puro stile Ahmadinejad, e neanche che dopo l’indiscriminata levata di scudi contro Israele a niente sono valse le foto e i video nella rete dove si vedono i soldati israeliani che si calano con una corda, linciati con sbarre e bastoni, chiusi in una cella, i denti rotti e buttati fuori bordo – e si capisce la violenza debordante della reazione militare. Il punto è che i media sono stati entusiasticamente favorevoli a gridare alla strage degli innocenti, che è così ebraica, e se tale effetto virtuale si vanificasse, sarebbe una delusione come un gol della vittoria bellissimo in moviola e poi annullato per fuorigioco. In ogni caso, impressiona come nel mondo dell’immagine la parola torni a essere potente ogni volta che accanto a “morte” si scrive “esercito israeliano”.
La morte è scandalo indigeribile, e ancor meno digeribile è la morte di uomini raccontati come inermi pacifisti. Ma che ghiottoneria è la morte procurata da un esercito di ebrei – ha scritto il Tizio della Sera su Moked, portale delle Comunità ebraiche italiane. Nessun network si è sentito di sciupare lo scoop antiebraico, dando importanza al fatto che i “pacifisti” non fossero affatto inermi, ma tutta gente addestrata. Martiri che da tempo si preparavano; genieri della provocazione, all’opera per una gigantesca trappola da lanciare fra le gambe degli israeliani. I quali da anni perdono tutte le grandi battaglie mediatiche per l’oggettivo pregiudizio che opera nei loro confronti di ebrei vivi; ben altra cosa, rispetto ai sei milioni di ebrei morti, plasmabili facilmente dall’ipocrisia di chi a loro è interessato solamente come elemento tattico-ideologico, variante della guerra antifascista. E di fatti, c’è quel mondo “antifascista” che spende i 27 di gennaio non parlando della Shoah, ma della guerra partigiana di cui sarebbe logico e onorevole parlare il 25 aprile.
E ora che vengono fuori le notizie su chi fossero gli eroi della nave turca che il mondo ha cantato per dodici ore, anche se adesso la canzone si è strozzata in gola; ora che circolano silenziosi dubbi su chi fossero davvero i pacifisti, se fossero pacifisti, e come si sono comportati i pacifisti – è ora che nessuno è interessato a diramare le notizie. Come se notizie autentiche sui pacifisti siano elementi antispettacolari che la tv si guarda dal diffondere perché deludenti e portatrici di depressione. Ad esempio, non ha avuto rilievo una piccola notizia del 3 giugno sul Corriere della Sera fiorentino: il 26 aprile, Mariano Mingarelli, presidente dell’associazione dell’amicizia filopalestinese, si è dimesso dall’agenzia di stampa Filopal (filo Palestina), per gli eccessi di antisemitismo di alcuni intellettuali al suo interno. In una sorta di bonaccia universale della democrazia, durante la quale tutto è inerte prima del maremoto, i media non gridano la vera e nuova identità sinistro-destra dei pacifisti italiani, tornati trionfalmente a Fiumicino come decine di Ulisse a Itaca. Invece di uno sciopero generale per lo scandalo della menzogna, c’è un silenzio generale per imbavagliare la verità: come se quanto è successo alla Coop fosse stato una mera sbadataggine. Si guardi alla semplicità disarmante, e come armata, con cui una dirigente della Cgil ha dichiarato in tv che la Cgil, il più grande sindacato italiano, è con la Palestina – dunque Hamas, il jihad, il mondo che nega la Shoah e vuole vaporizzare Israele.
E a sostegno unilaterale dei pacifisti, troverete lo sdegno del Colle che aveva messo in guardia dai pericoli dell’antisionismo antisemita e poi è caduto sulla buccia di banana della disinformazia pacifista; così come è apparso sonnacchiosamente dalla parte del pacifismo turco, il Partito democratico, appisolato nella sua eterna controra. E se ciò non costituisce novità, quante volte la linea del Pd su Israele, dalla guerra in Libano alle passeggiate con Hezbollah sul corso di Beirut, è sprofondata con un oplà nel terzomondismo. Ma lo strafalcione è stato commesso, e va detto che è proprio qui e ora, nell’approccio acefalo con la flottiglia semiturca della pace, che si salda l’alleanza passiva tra sinistra e fondamentalismo, evocando i nove morti come una sorta di Fosse Ardeatine dove gli israeliani sono quelli della rappresaglia nazista. Dunque, passando davanti al ghetto: “Nazisti”. Addio Storia, patrimonio gramsciano, addio memoria di come il mondo arabo fu alleato al nazismo – asini! E’ in questa facilità di adesione allo hitlerismo, nell’antigiudaismo, nei pogrom arabi di sempre, nei lamenti di Maimonide per le piaghe del popolo ebraico sotto il tallone degli sceicchi, che si trova la continuità con Ahmadinejad, col negazionismo, con l’idea di un nuovo Olocausto, con il successo editoriale nel mondo arabo del libello sui sette savi di Sion.
Il giorno dopo l’attacco israeliano, la sola novità possibile era che l’attacco israeliano fosse una reazione scomposta e politicamente sciagurata a una trappola preparata da un gruppo islamista con simpatie hitleriane. Ma la verità di un giorno dopo è lenta per il Pubblico all’ascolto: il Pubblico vuole le emozioni, non la verità storica. E poi, il vecchio continente soffre di un’antica incontinenza antigiudaica. Solidarizza con il nazi-islamismo: uno, ha paura dei missili di Teheran e del prezzo del petrolio; due, la scena davanti a Gaza illuminava in modo fantastico gli ebrei proprio mentre erano colpevoli. Se gli israeliani sono finiti in trappola, non sarà l’Europa a dirlo. Non succederà certo in Europa, quanto in questi giorni propongono gli studenti israeliani, che qualcuno organizzi una flottiglia di pace per Shalit; come non c’è mai stato un corteo bipartisan contro gli insediamenti e i razzi di Hezbollah sull’alta Galilea; una campagna di sinistra contro i pogrom nei paesi arabi; nessun titolo di giornale dopo il linciaggio dei due soldati israeliani, le cui interiora furono esibite dagli abitanti di un villaggio palestinese, danzando gioiosi davanti alle telecamere. Nessuna piazza della sinistra europea è stata piena per i morti di kamikaze di Haifa e Gerusalemme; nessun lenzuolo è stato steso alla finestra per le quotidiane aggressioni subite dagli ebrei francesi, in fuga da quella nazione nel più esteso disinteresse europeo; nessuna fiaccolata bertinottiana ha mai sfilato contro le liste di proscrizione anti-ebraica stilate nelle università d’Europa; nessuna guerriglia si è mai accesa sotto l’ambasciata di Teheran, per il negazionismo della Shoah e la volontà di cancellare Israele dalla geografia; nessun grido è stato sentito contro le limitazioni delle libertà religiose in medio oriente – perché la religione è l’oppio dei popoli; nessun dibattito è stato lanciato contro il revisionismo della storia israeliana, ridotta a cartone animato per analfabeti.
Per tutto questo, mai sdegno. L’improvvido plauso della folla dei marciatori di Assisi con quelli che dicono “Go back to Auschwitz” è un maggio parigino alla rovescia, un cupo inverno perenne; è rivelare che allora la Resistenza fu antifascista e non amorosamente filo-ebraica; che tutti furono intorno a Primo Levi ma non con Primo Levi; che la pace è una bandiera egualitaria dove tutti, ma tutti, possono insultare gli ebrei e auspicare che tornino ad Auschwitz. La novità autentica di questo capovolgimento della realtà è che 65 anni dopo la liberazione di Auschwitz, quando gli esterrefatti soldati sovietici si trovarono davanti al più grande mattatoio della Storia, gli eredi politici dell’Ottobre, che proprio contro il nazismo ha speso decine di milioni di morti, ora stanno licenziosamente con chi dice la cinica battuta da western di second’ordine “Go back to Auschwitz”. Tornate ad Auschwitz – per il comunismo e la libertà. Sotto la sfacciata luce del Male, da Londra a Roma una sinistra pacifista si fa comandare come un povero ciuco. Domani, potrebbe gridare di ricondurre il popolo ebraico ad Auschwitz e che ognuno di noi rechi al collo il cartello “Nazista”, con la esse della svastica. Il punto è come sia potuto avvenire tale allucinato capovolgimento della realtà. Di sicuro, sappiamo che la sinistra adesso è destra razzista, e che in greco capovolgimento si dice katastrophè.
(Fonte: Il Foglio, 12 giugno 2010)
#10Sarah Pan
.. ciò che mi stupisce, come ebrea vissuta in israele per molti anni ma anche come cittadina del mondo, è come si possa credere a determinati giornalisti che dichiarano, qualche giorno dopo questo avvenimento, “un accento arabo falso”, alludendo, così, al fatto che lo Stato di Israele abbia fornito registrazioni viziate dagli israeliani stessi.
Ora io mi appello all’intelligenza collettiva.
Ragioniamo.
Israele.
Uno degli stati più potenti per strategia militare, col servizio segreto più forte del mondo… secondo voi.. ma anche se avesse voluto veramente dare delle registrazioni false.. ma secondo voi… AVREBBE FATTO UN ERRORE SIMILE??
Puntualizzo questo punto perchè certo tutto si può dire agli israeliani fuorchè siano stupidi a tal punto!
#11Emanuel Baroz
purtroppo c’è chi non vuole credere alla realtà dei fatti, anche se sono incontrovertibili come in questo caso