Sergio Mattarella ricorda Stefano Gay Tachè, vittima innocente del terrorismo palestinese, nel suo discorso di insediamento alla carica di Presidente della Repubblica: “Era un bambino italiano”
Roma, 3 Febbraio 2015 – Grande commozione e sorpresa alla Camera oggi durante il discorso di insediamento del neo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che non ha mancato di citare il pericolo terrorismo, la cui minaccia è tornata a farsi sentire “dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi“.
Mattarella infatti ha voluto ricordare la tragica morte del piccolo bambino ebreo Stefano Gay Tachè, rimasto vittima del terrorismo palestinese il 9 Ottobre 1982: “Altri rischi minacciano la nostra convivenza. Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti. Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi. Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano“.
“Abbiamo ascoltato commossi le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella nel suo discorso d’insediamento alla camera dei deputati” ha detto il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici. Il capo dello stato ha nominato il piccolo Stefano Gay Taché, “un nostro bambino, un bambino italiano – dichiara Pacifici – assassinato barbaramente in quel vile attentato e così facendo ci ha abbracciati condividendo con tutti noi un dolore che non potremo mai estirpare“.
Thanks to Progetto Dreyfus
Nella foto in alto: il neopresidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante il suo discorso di insediamento di questa mattina nell’aula della Camera
#1Emanuel Baroz
Mattarella, un discorso da vero Presidente. Nelle sue parole il ricordo di Stefano Gaj Taché
http://www.progettodreyfus.com/mattarella-un-discorso-da-vero-presidente-nelle-sue-parole-il-ricordo-di-stefano-gaj-tache/
#2Emanuel Baroz
Famiglia Tache’: grati per ricordo, e’ un buon inizio
Commossi, quasi increduli e grati al neo presidente Sergio Mattarella per aver ricordato nel suo discorso d’insediamento il piccolo Stefano, vittima il 9 ottobre 1982 di un attentato alla Sinagoga di Roma, soprattutto in un momento in cui il terrorismo internazionale e’ ancora una minaccia per l’Italia.
Sono queste oggi le emozioni della famiglia Tache’ che quel giorno di 33 anni fa, al completo – mamma, papa’, ed i figli Gadiel di 4 anni e Stefano di 2 – stava uscendo dalla Sinagoga per la festa di Sukkot, quando entro’ in azione un commando di palestinesi che tiro’ bombe alle due entrate del tempio e sparo’ colpi di mitraglietta per coprirsi la fuga. Tutti e quattro i Tache’ rimasero feriti e Stefano di 2 anni, colpito alla testa mori’ un’ora dopo l’attentato.
Stefano Gaj Tache’ non e’ ancora ufficialmente nella lista delle vittime del terrorismo, ma da oggi molti italiani hanno conosciuto o riscoperto il suo nome grazie al presidente Mattarella che di lui ha detto “aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”. Stefano fu l’unica vittima di un attentato dove rimasero ferite 37 persone.
Per Gadiel, che da allora ha subito oltre 30 interventi, “il fatto che il neo-presidente faccia menzione dell’accaduto in un momento in cui il terrorismo e’ il nemico numero uno, credo sia il modo migliore per iniziare il mandato di presidente della Repubblica”. Gadiel, che con Mattarella divide il triste destino aver visto morire un fratello per mano della violenza, l’uno dal terrorismo e l’altro dalla mafia, “il terrorismo e’ un atto di guerra. Eravamo usciti dalla Sinagoga, un luogo di preghiera per festeggiare e invece ci siamo trovati in una guerra. Perche’ un atto terroristico non finisce quando termina l’attentato, prosegue per sempre e la nostra famiglia non e’ stata piu’ la stessa”.
Anche per il papa’ di Stefano Joseph Tache’, 67 anni, “oggi siamo tutti a rischio perche’ il terrorismo colpisce tutti e sicuramente aver citato la morte di mio figlio ha una grande valenza politica, e’ un segno di apertura mentale, un segno di grande sensibilita’. Per questo al presidente va la mia riconoscenza e il mio affettuoso ringraziamento”.
Ora la famiglia di Stefano e tutta la Comunita’ ebraica vogliono abbracciare il presidente Mattarella e immaginare che una volta per tutte il nome di Stefano venga inserito nell’elenco delle vittime del terrorismo in Italia. Un incontro che la famiglia si augura avvenga davanti alla lapide del piccolo Stefano fuori dalla sinagoga, proprio in Largo Stefano Gay Tache’. “Cosi’ facendo ci ha abbracciati condividendo con tutti noi un dolore che non potremo mai estirpare – ha detto il presidente della Comunita’ Ebraica di Roma Riccardo Pacifici – Io sono figlio di quell’attentato. Mio padre e’ stato ferito in quell’attacco. Il gesto del Presidente della Repubblica riempie il cuore di speranza degli ebrei romani e italiani”.(ANSA).
(Fonte: ANSA, 3 Febbraio 2015)
#3Emanuel Baroz
“Onorato che abbia pensato a Stefano”. Il fratello e l’omaggio di Mattarella al piccolo Taché
di Simona Casalini
Il piccolo Stefano Taché fu ucciso da un ordigno di matrice fondamentalista alla Sinagoga di Roma. Era il 9 ottobre 1982, un sabato mattina, alla fine della festa di Sukkot, dedicata soprattutto alle famiglie, ai bambini, in cui si celebra la maggiore età dei ragazzi. Erano le 11,56 quando una macchina si accostò al lungotevere e scesero cinque persone armate. Tre granate investirono le famiglie che uscivano dal Tempio, dalla porta laterale. Poi le sventagliate delle mitragliatrici. Stefano Gaj Taché morì dopo poche ore, suo fratello Gadiel, di quattro anni, rimase in fin di vita per settimane, furono ferite altre 37 persone. Città sotto shock. L’allora rabbino capo Toaff spiegò al presidente Pertini che voleva partecipare ai funerali di Stefano che non poteva garantirgli l’incolumità. In Sinagoga comparvero anche molti manifesti “Non vogliamo pietà, vogliamo giustizia”. Giustizia che ancora non è stata fatta perché solo uno dei cinque terroristi fu preso in Grecia, condannato all’ergastolo in contumacia ma subito estradato in Libia. E non risulta che abbia mai fatto un giorno di carcere. A trent’anni di distanza, nel 2012, Napolitano si recò per la prima volta in Sinagoga. Il fratello Gadiel ora ha 36 anni, e non dimentica. Felice che il neo presidente Mattarella si sia ricordato della tragedia che colpì la sua famiglia, delle parole usate per il fratello ucciso, il sacrificio di “un nostro bambino, un bambino italiano”.
Gadiel, lei è il fratello di Stefano, ha sentito le parole di ricordo del presidente Mattarella?
“Sì, e sono onorato e felice che un presidente abbia parlato della sua tragedia, in un momento come questo, in cui il terrorismo è la battaglia più difficile che il mondo sta affrontando”.
Se lo aspettava?
“No, sinceramente no. Poi però ripensandoci ho riflettuto sul fatto che io e lui abbiamo qualcosa in comune: tutti e due abbiamo avuto i fratelli uccisi dal terrorismo, due violenze diverse, lui la mafia, io terrorismo internazionale, ma abbiamo vissuto due lutti simili. E allora ho capito che siamo sulla stessa lunghezza d’onda”
Anche lei stava seguendo in diretta il discorso del presidente?
“Sì, ma in contemporanea stavo lavorando, lo ascoltavo di sottofondo e quando ho sentito il nome di Stefano pensavo di aver capito male, ma ho alzato subito il volume. E sì, parlava proprio di lui”.
Pensa di scriverle qualche righe di ringraziamento?
“Sì, assolutamente ma mi piacerebbe anche conoscerlo subito di persona, anche insieme alla Comunità ebraica. Oppure venga lui a trovarci, sarebbe un grande onore. E del resto, un nuovo presidente che come atto d’avvio del suo settennato si reca da solo a pregare alle Fosse Ardeatine merita grande rispetto e l’abbraccio di tutti gli italiani”
Più tardi, in un colloquio dopo la cerimonia di insediamento al Quirinale, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, ha espresso a Mattarella “la gratitudine degli ebrei italiani sia per la presenza alle Fosse Ardeatine, sia per il ricordo di Stefano Gaj Taché” definendoli “due momenti indelebili nella memoria”.
“Così facendo ci ha abbracciati condividendo con tutti noi un dolore che non potremo mai estirpare – ha sottolineato il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici – Io sono figlio di quell’attentato. Mio padre è stato ferito in quell’attacco. Il gesto del Presidente della Repubblica riempie il cuore di speranza degli ebrei romani e italiani”.
http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/02/03/news/onorato_e_felice_che_abbia_pensato_a_mio_fratello-106423442/
#4Parvus
Finalmente un piccolo atto di riparazione per l’indegno comportamento di una classe politica che con pertini in testa corse ad abbracciare il capo terrorista venuto in Italia a organizzare l’attentato.
#5Emanuel Baroz
Finalmente
Dal pertiniano “Ma insomma: cosa vogliono questi ebrei?” al mattarelliano: “Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”. Un bel progresso. Anche se ci sono voluti ben 32 anni.
http://esperimento.ilcannocchiale.it/2015/02/04/finalmente.html
#6Emanuel Baroz
Mattarella incontra i familiari di Stefano Tachè, ucciso nell’attentato alla sinagoga di Roma
“Mi trovavo in sinagoga per festeggiare insieme ai miei genitori, parenti e amici una festività religiosa. Ad un tratto l’inferno, bombe a mano, raffiche di mitra, urla disperate. Il bilancio fu terribile, la morte del piccolo Stefano e il ferimento di 40 persone”. Sono le parole che Gadiel Tachè pronuncia al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, messe nero su bianco in una lettera scritta il giorno dopo l’insediamento del Capo dello Stato.
Gadiel è infatti il fratello di Stefano, ucciso nel’attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982 e citato nel discorso di fronte ai Grandi elettori. Uno di quei riferimenti a persone e luoghi non casuali da parte di Mattarella, che vuole così richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica di fronte ai pericoli che la minacciano e indicare la strada da seguire per respingerli.
“Il terrorismo internazionale -disse il Presidente della Repubblica il 3 febbraio- ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti. Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi. Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.
Parole non fini a se stesse, dunque, alle quali il Capo dello Stato ha voluto dare un seguito ricevendo oggi al Quirinale i familiari di Stefano Gaj Tachè: la madre Daniela Gaj, il Padre Joseph Tachè, il fratello Gadiel e la nonna Tina Di Nepi, accompagnati da una delegazione della Comunità ebraica di Roma guidata dal rabbino capo Riccardo Di Segni e dal presidente Riccardo Pacifici.
“Immagino -ha sottolineato Mattarella- che il passare degli anni non cambi affatto nè il dolore nè il ricordo”. “La nostra famiglia-ha ricordato ancora Gadiel- fu per sempre distrutta, non solo fisicamente ma soprattutto nel cuore e nella mente. Ero un bambino di 4 anni, vedevo ancora il mondo a colori, ero incapace di capire che cosa fosse la guerra, il dolore, la morte”.
(Fonte: Adnkronos, 1 Aprile 2015)