Quel marchio europeo che offende Israele
di Pierluigi Battista
L’Unione Europea tace sulle dittature. Non dice una parola, da sempre, sui regimi tirannici con cui intrecciare soddisfacenti rapporti economici. Plaude alle mediazioni, ma mica per spirito di pace, solo per convenienza. Figurarsi se l’Unione Europea, politicamente una nullità nelle grandi questioni che insanguinano il mondo, emette un solo fiato di indignazione, per dire, sui rapporti con la Cina che occupa il Tibet e manda in galera i dissidenti. O sull’Arabia Saudita, con cui si stabiliscono buoni rapporti mentre ancora si pratica la lapidazione delle adultere e si legalizza lo stupro delle bambine che vengono costrette a sposarsi, vendute dalle famiglie. Silenzio assoluto, omertà, come sempre.
Poi, quando compare la parola «Israele», l’Unione Europea si risveglia dal suo torpore e decide di marchiare i prodotti dello Stato ebraico sfornati dalle officine e dai capannoni dei territori sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese. Qui l’Europa, dimentica del passato atroce in cui i negozi degli ebrei venivano perseguitati e le merci degli ebrei confiscate o boicottate, decide di dare una mano alla campagna che i regimi autoritari del Medio Oriente imbastiscono contro l’unica democrazia di quell’area, cioè lo Stato di Israele. Il fatto che esistano fabbriche israeliane situate (anche) in Cisgiordania (Giudea e Samaria) dove operano lavoratori palestinesi liberamente assunti e con contratti regolari di lavoro non dovrebbe essere uno scandalo nel mondo globalizzato. Non c’è nessuna ragione economica per «marchiare » dei prodotti. C’è solo una ragione politica: il boicottaggio sistematico di Israele, delle merci israeliane, degli studiosi israeliani (da parte delle Università europee).
Esistono nel mondo un’infinità di territori contesi. Ma esiste solo un caso in cui le istituzioni del mondo diventano fiscali: quando c’è di mezzo Israele. È il solito trattamento speciale. La solita tentazione del boicottaggio. La decisione europea scredita l’idea di Europa. Una decisione sconcertante. Sarebbe saggio ritirarla.
(Fonte: Corriere della Sera, 12 Novembre 2015)
#1Emanuel Baroz
L’Ue è ancora una volta contro Israele
Le etichette “made in settlement” sono una discriminazione.
Dopo tre anni di esitazioni, la Commissione europea ieri ha ceduto alla lobby anti Israele e ai boicottatori anti-semiti adottando una “nota interpretativa” per imporre l’etichettatura di alcuni prodotti importati nell’Unione europea dagli insediamenti israeliani. Da oggi il “made in Israel” non potrà più essere usato per i prodotti agricoli e i cosmetici che vengono da fuori i confini del 1967: i coltivatori e gli industriali israeliani che operano in Cisgiordania dovranno appiccicare la dicitura “insediamenti” sulle merci vendute nell’Ue. Se non lo faranno, toccherà a supermercati o negozi europei farlo, quando la Commissione ha sufficienti informazioni sulla provenienza.
L’esecutivo comunitario si è difeso spiegando che si tratta di una questione “tecnica”. Ma la mossa ha un profondo significato politico in un’Ue sempre più tentata dalla politica unilaterale del riconoscimento della Palestina. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che l’Ue dovrebbe “vergognarsi” per la “discriminazione” che punisce “la parte che è sotto attacco del terrorismo”. Il Marocco non è costretto a etichettare il pesce “Sahara occidentale”. Il “made in Taiwan” non è stato cancellato dalla politica di “una sola Cina”. Le merci di Cipro nord, occupata dalla Turchia, sono una questione interna per l’Ue. Paradossalmente, le vittime collaterali rischiano di essere i palestinesi. La decisione riguarda uva, datteri, vino, miele, olio d’oliva e cosmetici per un valore di 50 milioni di dollari: una goccia nel mare dei 30 miliardi di dollari di scambi tra Israele e l’Ue, ma una fonte di reddito significativa per i palestinesi che lavorano nelle aziende agricole della Cisgiordania.
(Fonte: Il Foglio, 11 Novembre 2015)
#2Emanuel Baroz
Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «L’esportazione in Europa dei prodotti degli insediamenti equivale solo a una minima frazione di tutte le esportazioni israeliane verso il continente. Tuttavia, anche se le ripercussioni immediate non saranno importanti, nessuno crede davvero che gli odiatori di Israele in Europa si fermeranno qui. Boicottare i prodotti degli insediamenti è solo il primo passo. L’Europa assai probabilmente cederà alla pressione dei palestinesi e dei musulmani che irrompono nelle sue strade, e si muoverà gradualmente verso un boicottaggio totale di Israele. Anche se il danno è limitato, è comunque molto concreto. Il proprietario di un negozio di Tolosa non si preoccupa di distinguere fra un prodotto fabbricato a Beit El e uno fabbricato a Tel Aviv: per non avere rogne, semplicemente scarterà entrambi a favore di un prodotto fatto a Lisbona. Moralmente parlando, questo tipo di etichettatura dei prodotti è simile alla stella gialla di Davide dei tempi bui. E’ il primo passo su una strada che non si sa fin dove può portare».
(Fonte: Israel HaYom, 11 Novembre 2015)
http://www.israele.net/letichettatura-europea-dei-prodotti-ebraici-dei-territori-e-ipocrita-e-dannosa
#3Emanuel Baroz
“L’etichettatura europea dei prodotti israeliani dei territori è ipocrita e dannosa”
Israele: “Ci sono 200 contenziosi territoriali nel mondo, ma solo in questo caso l’Unione Europea applica una misura discriminatoria”
Israele condanna come discriminatoria la decisione dell’Unione Europea di pubblicare delle linee-guida per etichettare come non fabbricati in Israele i beni prodotti da ebrei al di là della cosiddetta Linea Verde (la ex linea armistiziale in vigore nel periodo ’49-’67 fra Israele e i territori occupati dalla Giordania). Gerusalemme ha avvertito che tale mossa potrebbe pregiudicare le relazioni euro-israeliane.
“Ci rammarichiamo che l’Unione Europea abbia compiuto questo passo politicamente motivato, unico e discriminatorio, ispirato all’ambiente dei boicottatori”, afferma una dura nota diffusa da mercoledì dal Ministero degli esteri israeliano che ha anche convocato l’ambasciatore dell’Unione Europea in Israele, Lars Faaborg, per chiedere spiegazioni circa la decisione presa della Commissione Europea, l’organismo politico di Bruxelles. Poche ore prima un rappresentante dell’Unione Europea aveva annunciato alla Reuters che la Commissione “ha adottato mercoledì mattina la Nota interpretativa sull’indicazione d’origine delle merci provenienti dai territori occupati da Israele dal giugno 1967”.
Da quando la questione venne sollevata per la prima volta nel 2012, l’Unione Europea l’ha sempre minimizzata descrivendola come una questione puramente tecnica, sostenendo che non si tratta di una forma di boicottaggio contro Israele, ma di una misura volta a informare il consumatore che quei determinati beni non sono made in Israel. Sostenendo che tutto il territorio al di là delle linee armistiziali pre-’67 in Cisgiordania, a Gerusalemme e sulle alture del Golan non fanno parte di Israele, e che dunque le merci lì prodotte non possono essere etichettate come made in Israel, l’Unione Europea in pratica stabilisce quali sono i confini di Israele, cosa che invece dovrà essere stabilita mediante negoziato fra le parti stando a tutti gli accordi fin qui firmati (e garantiti dalla stessa Unione Europea). Ora la Commissione Europea ha fornito agli stati membri le linee-guida legali circa l’etichettatura di questi prodotti. Tali linee-guida stabiliscono che la semplice etichettatura come “prodotto dalle alture del Golan” o “prodotto dalla Cisgiordania” non è sufficiente: l’etichetta deve anche contenere tra parentesi la dicitura “insediamento israeliano” (in pratica: prodotto da ebrei nei territori). Il vicepresidente dell’Unione Europea Valdis Dombrovskis ha insistito che la misura riguarda “un problema tecnico, non una posizione politica”, aggiungendo che “l’Unione Europea non sostiene nessuna forma di boicottaggio o sanzioni contro Israele in quanto tale”.
L’impatto economico della misura adottata dall’Unione Europea sarà probabilmente limitato. Sebbene l’Europa sia il principale partner commerciale d’Israele, i prodotti degli insediamenti costituiscono una piccola frazione delle esportazioni israeliane. Molto più grave potrebbe essere invece l’impatto politico e simbolico della decisione. Il Ministero degli esteri israeliano ha definito “infondata” e “cinica” qualsiasi pretesa dell’Unione Europea di descrivere la mossa come puramente tecnica. Ci sono almeno 200 contenziosi territoriali in tutto il mondo, sottolinea Gerusalemme, e in tutti quei casi l’Unione Europea non ha mai preso posizione a favore di una parte o dell’altra contrassegnando i prodotti come “non fabbricati” in un determinato paese. “E’ sconcertante e persino irritante – afferma Gerusalemme – che l’Unione Europea abbia deciso di applicare una doppia morale per quanto riguarda Israele, ignorando tutte le altre dispute territoriali, comprese quelle che si verificano all’interno della stessa Unione Europea o alle sue porte. L’affermazione che si tratta di una questione tecnica è cinica e senza fondamento”.
Secondo Israele, etichettare i beni in questione come “prodotti negli insediamenti” non aiuterà in alcun modo a risolvere il conflitto israelo-palestinese. Semmai servirà a peggiorare la situazione, perché incoraggerà i palestinesi ad assumere posizioni intransigenti e a continuare a sottrarsi ai negoziati, rafforzando gli elementi estremisti che promuovono il boicottaggio di Israele per negare il suo diritto ad esistere. “Questa decisione – ha avvertito il Ministero degli esteri israeliano – solleva interrogativi sul ruolo che l’Unione Europea intende svolgere, e potrebbe avere conseguenze sulle relazioni tra Unione Europea e Israele”.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’etichettatura “ipocrita” e indicativa di una doppia morale. “L’Unione Europea ha deciso di etichettare solo Israele, ma noi non siamo disposti ad accettare che l’Europa etichetti la parte che viene attaccata dal terrorismo – ha detto Netanyahu – L’economia israeliana è forte e in grado di resistere a questo. Chi verrà davvero colpito saranno i palestinesi che lavorano nelle fabbriche israeliane. L’Unione Europea dovrebbe vergognarsi”.
La ministra israeliana della giustizia Ayelet Shaked ha definito la decisione “anti-israeliana e anti-ebraica”, aggiungendo che intende esaminare eventuali azioni legali contro l’Unione Europea. “E’ interessante il fatto – ha sottolineato Shaked – che l’Unione Europa non etichetta i prodotti dal Sahara occidentale [occupato dal Marocco] o di Cipro settentrionale [occupato dalla Turchia]: l’ipocrisia dell’Unione Europea e la sua ostilità verso Israele hanno superato ogni limite”.
Il ministro della difesa israeliano Moshe Ya’alon ha definito la mossa “un passo vergognoso, che premia il terrorismo”.
Il leader dell’opposizione israeliana Isaac Herzog, laburista dell’Unione Sionista, ha definito la decisione “pericolosa e nociva “, spiegando che danneggerà gli sforzi di pace. Herzog l’ha paragonata alla decisione di 40 anni fa delle Nazioni Unite (poi revocata) di equiparare il sionismo al razzismo, contro la quale si scagliò suo padre, allora rappresentante d’Israele all’Onu e successivamente presidente di Israele. “Questa decisione si basa sull’odio, la menzogna e l’ignoranza ed è priva di qualsiasi valore morale – ha detto Herzog, citando le parole di allora di suo padre – Per noi, popolo ebraico, non è altro che un pezzo di carta e dobbiamo trattarla come tale”.
Yair Lapid, leader del partito d’opposizione Yesh Atid, ha scritto su Twitter: “Gli ebrei vengono accoltellati per la strada e l’Unione Europea cede davanti al boicottatori di Israele: questa decisione è discriminatoria contro Israele e incoraggia il terrorismo”.
Tzipi Livni, di Unione Sionista, ha osservato che Israele ha qualche margine per evitare che la decisione abbia effetti disastrosi, giacché ogni paese europeo può decidere se adottarla o meno. “Israele deve rivolgersi ad ogni singolo paese e convincerlo a non adottare la decisione – ha detto l’ex ministra degli esteri israeliana – E affinché questo accada dobbiamo adottare la politica giusta, dobbiamo dire che la politica del primo ministro è davvero per la soluzione a due stati, e dimostrarlo: solo così capiranno che non c’è motivo di mettere Israele nell’angolo”.
Il parlamentare Itzik Shmuly, anch’egli di Unione Sionista, ha definito la decisione dell’Unione Europea “stupida, dannosa e inutile” aggiungendo che “imprime una macchia sul volto dell’Europa”. “Gli abitanti di Amburgo o di Copenaghen – ha osservato Shmuly – non hanno idea di dove inizi e dove finisca la Linea Verde, per cui la decisione della Commissione finirà per tradursi in un boicottaggio generalizzato contro Israele in quanto tale. Purtroppo l’Europa ha vergognosamente deciso di rafforzare in questo modo coloro che conducono la campagna per il boicottaggio di Israele, il cui obiettivo è cancellare Israele dalla carta geografica e non certo promuovere la pace”.
Anche l’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Michael Oren, parlamentare di Kulanu, ha ricordato al Jerusalem Post che l’etichettatura dei prodotti negli insediamenti appare antisemita giacché “vi sono duecento dispute territoriali in tutto il mondo, e loro hanno preso di mira solo questa”.
Avi Ro’eh, capo del Consiglio che rappresenta le comunità ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania), ha scritto una lettera furibonda alla rappresentante della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini, nella quale afferma che la decisione non farà che gettare benzina sul fuoco di un conflitto già di per sé violento. “In un momento in cui il terrorismo palestinese è in crescita – ha scritto Ro’eh – l’Unione Europea ha deciso di boicottare le aree industriali in Giudea e Samaria che sono oasi di pace tra israeliani e palestinesi. Le imprese di questo tipo, in cui arabi ed ebrei lavorano insieme, dovrebbero essere piuttosto utilizzate come modello per costruire la pace, e non boicottate. Se l’Unione Europea vuole promuovere una vera coesistenza, dovrebbe venire a vedere come stanno le cose in Giudea e Samaria, e allora si renderebbe conto che sta etichettando le persone sbagliate”.
Il Congresso Ebraico Europeo ha detto che il regime di etichettatura dell’Unione Europea “potrebbe di fatto violare trattati e accordi come l’Organizzazione Mondiale del Commercio”. Il presidente Moshe Kantor ha definito le linee-guida europee “senza precedenti” e dunque “un ulteriore esempio di come Israele venga selezionato per un trattamento speciale”. “Dopo aver studiato a fondo la questione – ha detto Kantor – abbiamo rilevato che non esistono linee-guida equivalenti per nessun altra controversia territoriale o in quelle che vengono percepite come occupazioni in qualsiasi altra parte del mondo. In realtà, in molte altre controversie l’Unione Europea di fatto appoggia o addirittura trae vantaggi da quella che viene definita a livello internazionale una occupazione, per cui vi è certamente un elemento molto forte di doppia morale che viene applicato allo stato ebraico”. Kantor ha aggiunto che l’Unione Europea non ha mai risposto alle domande sul perché Israele venga preso di mira “anche quando la vediamo firmare accordi per trarre profitto e contribuire all’occupazione del Marocco nel Sahara occidentale e della Turchia a Cipro del Nord”.
Già dal 2003 l’Unione Europea pone un codice numerico sulle importazioni israeliane per consentire alle dogane di distinguere fra prodotti fabbricati da una parte o dall’altra della Linea Verde. I prodotti fabbricati a Gerusalemme est, sulle alture del Golan e in Cisgiordania sono già esclusi dall’Accordo di libero scambio fra Israele e Unione Europea. Le linee-guida emanate mercoledì portano questo processo un passo avanti, fornendo agli stati membri le istruzioni legali su come etichettare i prodotti in modo che risultino “non fabbricati in Israele”. Nel 2013 l’Unione Europea aveva rinviato la pubblicazione delle linee-guida su richiesta degli Stati Uniti che stavano mediando il negoziato fra israeliani e palestinesi, ma dall’aprile 2014 la parte palestinese si rifiuta di sedere al tavolo negoziale e il processo si è interrotto.
(Fonte: Jerusalem Post, YnetNews, Times of Israel, 11 Novembre 2015)
http://www.israele.net/letichettatura-europea-dei-prodotti-ebraici-dei-territori-e-ipocrita-e-dannosa
#4Emanuel Baroz
Ecco la lista dei prodotti israeliani da COMPRARE:
http://bit.ly/1PpH6y3
#5Emanuel Baroz
MO: ETICHETTE UE; CICCHITTO, NO A BOICOTTAGGIO ISRAELE
(ANSA) – ROMA, 11 NOV – «Esprimiamo il nostro dissenso dalla decisione presa questa mattina dalla Commissione Europea per l’etichettatura dei prodotti israeliani se provenienti dai territori occupati in Israele dal giugno 1967. Questo provvedimento è funzionale solo ad una ipotesi ancora più inaccettabile che è quella del boicottaggio». Lo afferma Fabrizio Cicchitto, NCD, presidente della commissione Esteri della Camera.
«Si tratta di una misura del tutto unilaterale, che proprio per questa unilateralità non dà alcun contributo alla pace. L’Unione Europea non dice una parola né sull’ultima versione del terrorismo tramite gli accoltellamenti né sulla questione più di fondo costituita dalla necessità che ci sia un’autorità palestinese che si pronunci in modo chiaro sulla questione dell’esistenza di Israele. Infatti non è possibile trattativa senza un pregiudiziale riconoscimento dell’esistenza delle due parti. Anche lo stesso problema degli insediamenti, sul cui aumento dissentiamo da Israele, può esser posto con ben altra ragione da chi, nel contempo, riconosca a Israele il diritto di esistere, premessa logica e storico-politica per arrivare a due popoli-due Stati», conclude. (ANSA).
#6Emanuel Baroz
MO: DOMBROVSKIS, DA UE NESSUN BOICOTTAGGIO CONTRO ISRAELE =
Bruxelles, 11 nov. – (AdnKronos) – Con il via libera all’etichettatura su alcuni prodotti realizzati negli insediamenti israeliani nei territori occupati la Commissione europea «non sostiene in alcun modo il boicottaggio e le sanzioni nei confronti di Israele». Lo ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, che ha sottolineato che la misura approvata «è una parte essenziale della legislazione per la protezione dei consumatori» e «è una questione tecnica e non politica», «chiesta da alcuni Stati membri».
#7Emanuel Baroz
MO: ETICHETTE UE; FITTO, GRAVE ATTACCO A ISRAELE
(ANSA) – ROMA, 11 NOV – «Desidero esprimere totale solidarietà al Governo e al popolo israeliano». Così Raffaele Fitto, leader dei Conservatori e Riformisti. «È grave, e perfino provocatorio, che l’Ue arrivi ad utilizzare il tema della etichettatura dei prodotti per attaccare in modo ideologico Israele. Rispetto alla valanga di altri conflitti nel mondo, non risulta altrettanto zelo da parte dell’Europa. Per noi Conservatori e Riformisti – conclude Fitto – questa brutta pagina è un’altra prova di quanto profondamente questa Europa vada cambiata».
#8Emanuel Baroz
Idea per Mogherini: etichettare i bambini israeliani nati in West Bank, Gerusalemme Est e Golan
di Lila C. Ashuryan
E dopo l’etichettatura dei prodotti israeliani provenienti dalla West Bank, Golan e Gerusalemme Est, cos’altro di dobbiamo aspettare dall’Europa della Mogherini? La marchiatura a fuoco dei bambini israeliani nati negli insediamenti della West Bank, a Gerusalemme Est o nel Golan? Che facciamo, gli imprimiamo a fuoco una bella stella gialla sul petto e gli etichettiamo il pannolino?
No perché a questo punto manca solo questo, che siccome l’Europa considera illegale ogni cosa che provenga da quei luoghi si considerino illegali anche i bambini nati negli insediamenti in West Bank oppure quelli nati da residenti a Gerusalemme Est o nel Golan. Che poi quella scienziata della Mogherini mi dovrebbe spiegare bene cosa c’entra il Golan con la questione palestinese. Mi sono persa qualcosa?
In realtà qualcosa del genere è già avvenuta dato che alcuni paesi non riconoscono la dicitura “residente a Gerusalemme” sui passaporti israeliani, quindi il passo per dichiarare illegali anche i bambini nati in quei posti non è poi così complicato.
Pensate che scherzi? Non scherzo, sono serissima. Seguendo la contorta logica europea mio figlio nato a Gerusalemme Est dovrebbe apporre sul suo passaporto una etichetta che certifichi la sua “provenienza illegale”. Certo, ancora l’Europa non lo pretende, ma quanto ci metterà a farlo? Ormai dalla sig.ra Mogherini ci dobbiamo aspettare di tutto e di più.
http://www.rightsreporter.org/idea-per-mogherini-etichettare-i-bambini-israeliani-nati-in-west-bank-gerusalemme-est-e-golan/
#9Emanuel Baroz
Io non sono antisemita, sono loro che sono ebrei
di Franco Londei
Povera Mogherini, a leggere i commenti suoi social network si direbbe che sia l’ennesima antisemita messa alla guida della diplomazia europea. Ma non è mica così!!
Vedete, per capire veramente il pensiero della Mogherini dovete fare un salto indietro nel tempo, quando Giobbe Covatta coniò il detto “io non sono razzista, sono loro che sono napoletani”. Ecco, tutto questo putiferio in Medio Oriente non ci sarebbe se non ci fossero gli israeliani ebrei.
Mi spiego meglio, Israele ci potrebbe pure stare, ma non gli ebrei. Per andare bene Israele dovrebbe essere araba e non guidata e popolata da questi ebrei noiosi e fastidiosi che poco poco controllano il mondo. Ecco, se Israele fosse araba (e magari anche musulmana) il Medio Oriente sarebbe un posto migliore.
Certo, ci sarebbe sempre Assad che martirizza 160.000 persone, ci sarebbero gli Hezbollah che vorrebbero controllare il Libano, Hamas che la farebbe da padrona e gli iraniani che si vogliono fare la bomba atomica. E poi ultimamente ci sarebbero anche quei simpaticoni del ISIS che però non sono poi così cattivi, ammazzano solo chi non la pensa come loro, prendono le donne come schiave (ma sono cristiane o Yazide, che volete che sia) e ogni tanto fanno qualche esecuzione di massa. Ma sono bazzecole in confronto al problema di avere una democrazia in mezzo a tutto questo paradiso, per di più una democrazia ebraica.
Capite che è un problema. Israele ebraico, per di più pure democratico, rovina il quadro, rovina il business, rovina pure il panorama. Dai, non è concepibile.
Quindi fatemi il favore di smetterla di dire che la Mogherini e chi la pensa come lei siano antisemiti. Non lo sono. Sono gli israeliani che sono ebrei. Se gli israeliani fossero arabi e musulmani sarebbe tutto a posto. Pensate, non esisterebbe nemmeno la parola “antisemitismo”.
http://www.francolondei.it/io-non-sono-antisemita-sono-loro-che-sono-ebrei/
#10Emanuel Baroz
Etichette della vergogna: Tg3 e TGcom24
di Deborah Fait
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-c660ef01-41ab-4317-8658-4bf460bc496b-tg3.html#p=0
Tg3 delle ore 19.00, minuto 23.20. Maria Cuffaro presenta il sevizio di Riccardo Chartroux sulle etichette che l’Europa ha imposto a Israele per marchiare i prodotti al di là della linea verde. Territori occupati, dicono al TG3. No, dico io, territori contesi. “Golan, Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme est non sono Israele – ripete Chartroux citando bovinamente le dichiarazioni dei burocrati dell’UE – Israele si ferma ai confini del 1967, oltre a questi confini c’è la Palestina o quello che sarà Palestina” Ehhh no, cari Tg3! Innanzitutto non esistono i “confini del 67” , nessuno li ha segnati, nessuno al mondo lo potrebbe fare se non Israele, paese sovrano, e solamente quando sarà firmato un accordo tra Israele e i palestinesi dell’ANP, cioè mai, visto che Abu Mazen ha appena detto che tutto è Palestina. Capirete anche voi, signori del Tg3, che nessun paese al mondo firmerebbe il proprio annientamento. Quei “confini” del 67, veramente, a voler essere precisi, del 1949, non sono che linee armistiziali, la cosiddetta linea verde che altro non è che una linea di demarcazione decisa nel momento in cui cessarono le “ostilità”, cioè la guerra per distruggere il neonato stato ebraico, finita, con la vittoria di Israele e con un armistizio imposto dalle Nazioni Unite, nel 1949. La guerra del 67, detta dei Sei Giorni, quella in cui i paesi arabi per la seconda volta avevano deciso l’annientamento del nemico sionista, liberò i territori di Giudea e Samaria dall’occupazione giordana. Purtroppo l’ONU, nella sua infinita ostilità, impose a Israele di ritornare al di qua della linea verde e abbandonare Giudea e Samaria nelle mani degli arabi che nel frattempo, negli anni 50, vi si erano infiltrati per poi pretenderli come fossero di loro proprietà.
E’ inutile quindi che Chartroux parli di diritto internazionale, io lo chiamerei piuttosto atto banditesco perché tale è la pretesa di imporre a Israele, vincitore, di restituire territori da millenni culla del popolo ebraico, a chi non ne ha diritto essendo stato inventato come popolo fasullo solo nel 1967. Giustamente un israeliano, intervistato durante il servizio del Tg3, ha parlato di stella gialla che l’Europa impone agli ebrei ancora una volta. Giustamente Benjamin Netanyahu parla di vergogna europea che etichetta i prodotti israeliani di Giudea e Samaria, e ricorda come Israele sia l’unico paese al mondo ad essere trattato in questo modo, rispetto alle decine di paesi in guerra e con confini precari. Un vero e proprio boicottaggio perpetrato da un’Europa avvelenata di antisemitismo e islamizzata, con l’appoggio dei media e nel silenzio complice dell’opinione pubblica. Oltre alla vergogna è d’obbligo parlare anche di stupidità europea. Ma come, sono tanto innamorati dei palestinesi (ricordiamo le foto amorose di Mogherini con Arafat) e gli unici che pagheranno il prezzo di questa ingiustizia saranno proprio loro, i palestinesi che vivono nei territori e lavorano per Israele. Se le aziende agricole o le industrie israeliane di Giudea e Samaria chiuderanno i lavoratori arabi perderanno il lavoro e migliaia di famiglie palestinesi finiranno sul lastrico. Gli arabi impiegati nelle aziende israeliane boicottate perderanno stipendi di 5000/ 6000 shekel, perderanno tutti i diritti, dall’assistenza medica alla pensione, per restare disoccupati e senza nessun diritto in balìa della dittatura di Abu Mazen. E’ già successo quando Sodastream, costretta a chiudere a causa del boicottaggio BDS, si è trasferita dalla Giudea al Negev lasciando più di 1000 lavoratori palestinesi disoccupati. Complimenti Europa, non si sa se in questa storia giochi più la cattiveria e il desiderio di nuocere a Israele o l’idiozia che porterà danno proprio ai suoi protetti palestinesi.
Persino peggio del Tg3 è Tgcom24 che oltre alle solite cose, pare leggano tutti le stesse veline, reitera il solito “errore geografico”, superobsoleto, parlando, sia nel titolo che nel servizio, di Tel Aviv che teme… Tel Aviv che condanna… Gerusalemme, ragazzi, si chiama Gerusalemme la capitale di Israele, Tel Aviv non c’entra! Possibile che non siano ancora stufi di dire simili stupidaggini? Possibile che ancora non abbiano imparato? Cosa ci vuole? Basta studiare a memoria e anche i più asinacci dovrebbero imparare che la capitale di Israele è Gerusalemme. Gerusalemme che non è mai stata capitale di nessun paese arabo, Gerusalemme non è mai nominata nel Corano ma più di 700 volte nella Bibbia ebraica! GERUSALEMME è la città dove ha sede il Parlamento di Israele, la Knesset! Capisco che abbiate paura di ritorsioni arabe, che non sono molto leggere, capisco che avete paura che qualche redazione salti per aria ma da qui a taroccare vilmente la verità storica ce ne vuole! Suvvia un po’ di coraggio, signori redattori, direttori, giornalisti, solo un po’ di coraggio e meno pelo sullo stomaco.
Ecco il link a Tgcom24: http://mobile.tgcom24.it/mondo/guerra-di-etichette-tra-ue-e-israele-tel-aviv-teme-boicottaggio-commerciale_2143340-201502a.shtml
In corsivo il commento del Tgcom24:
Guerra di etichette tra Ue e Israele, Tel Aviv teme boicottaggio commerciale – Bruxelles vara la norma che impone agli israeliani di etichettare i prodotti per far capire quelli che provengono dai Territori occupati. Israele: “Norma che non aiuta processo di pace”
La Commissione europea “non sostiene alcuna forma di boicottaggio o sanzione per Israele”. Lo dichiara il vicepresidente Valdis Dombrovskis, puntualizzando che le norme interpretative sull’etichettatura di origine delle merci prodotte nei territori occupati da Israele sono “una questione tecnica, non un’istanza politica”. Di diverso parere è Tel Aviv che condanna la decisione di Bruxelles e lo indica come ostacolo al processo di pace. “Questo passo solleva domande sul ruolo che la Ue aspira a giocare. E può avere anche implicazioni sulle relazioni tra Israele e l’Europa”. Lo ha detto il portavoce del ministero degli esteri israeliano Emanuel Nahshon.
Cos’è l’etichettatura della discordia – In pratica l’Europa impone di etichettare in prodotti esportati in modo che si possa sapere se provengono dai Territori occupati da Israele. Una norma imposta dai Paesi dell’Unione osteggiata da Israele che teme un possibile boicottaggio della propria merce. I rapporti commerciali tra Ue e Israele valgono circa 30 miliardi l’anno (17 mld di export verso Israele e 13 mld di import). I prodotti che arrivano dai territori occupati rappresentano solo lo 0,5% del totale. Ma Israele teme invece che i consumatori europei si spingano a boicottare tutti i loro prodotti.
Israele: etichette Ue non aiutano la pace – Israele “condanna la decisione dell’Ue” e nessuna etichettatura “farà avanzare il processo di pace, al contrario potrebbero rafforzare il rifiuto dei palestinesi a tenere negoziati diretti con Israele”. Ha detto il ministero degli esteri israeliano. “Ci dispiace – ha aggiunto il portavoce del ministero degli esteri Emanuele Nahshon – che la Ue scelga di fare un passo discriminatorio ed eccezionale come questo in un momento in cui Israele si trova ad affrontare un’ondata di terrore diretta contro tutti i cittadini ovunque si trovino”. Per il ministero il fatto che la Ue definisca “tecnico” il provvedimento varato “è un’affermazione cinica e priva di fondamento”. Al contrario le norme varate “rafforzeranno gli elementi radicali che promuovono il boicottaggio contro Israele e negano il suo diritto all’esistenza”.
Netanyahu: “L’Ue deve vergognarsi” – Dura la replica del premier israeliano Benyamin Netanyahu. “La Ue deve vergognarsi per aver deciso di contrassegnare solo Israele”, ha dichiarato. “Non siamo disposti ad accettare il fatto che l’Europa contrassegni il lato attaccato da atti terroristici”, ha aggiunto. E ancora: “L’economia israeliana è forte e resisterà. Ad essere colpiti saranno proprio i palestinesi che lavorano negli stabilimenti israeliani”.
L’ultima notizia di questa sera è che Israele ha sospeso ogni serie di dialoghi e incontri con la UE. Bravo Benjamin Netanyahu, Kol ha kavod!
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=60273
#11Jordan
Sarebbe anche il caso di elencare i nomi di chi ha proposto e votato questo scempio, anche se si sa già da che parte stanno.