«Israele, il cancro». Diventa un caso il patrocinio Anpi al film antisemita
Proiezione in una scuola di Biella. Protestano le Comunità ebraiche italiane. La replica dell’associazione nazionale dei partigiani: «Una sezione non si identifica con noi»
di Goffredo Buccini
Un film dal titolo infame si aggira per l’Italia. E si trasforma in una cartina di tornasole sulla confusione mentale di un pezzo della sinistra nostrana, a cominciare dall’Anpi, la benemerita associazione dei partigiani. Si chiama «Israele, il cancro» la pellicola di Samantha Comizzoli, attivista già arrestata e rimpatriata nel 2015, così devota alla causa palestinese da augurarsi che lo Stato dalla Stella di David possa «sprofondare all’inferno». E racconta, parole della regista, «l’occupazione nazista israeliana della Palestina». Non esattamente un punto di vista sereno sul conflitto più drammatico del Medio Oriente da settant’anni a questa parte.
L’appello ai vertici
La Comizzoli sostiene che il suo film spaventi noi sepolcri imbiancati perché «crudamente oggettivo». E, per dimostrare la propria oggettività, lancia sin dal trailer su uno schermo nero la seguente frase: «L’effetto del mostro Israele sulla mente delle vittime, il popolo palestinese». Seguono le fasi della «malattia» che progredisce come una metastasi, appunto: soldati di Tsahal che spianano i mitra su palestinesi indifesi, giovani palestinesi costretti su sedie a rotelle, braccia palestinesi mozzate in ospedale, rivolte palestinesi basate su gran scritte di protesta contro il famigerato Muro. Infine la domanda: «Come vincere il cancro Israele?». E la ricetta: «Non ho paura di Israele, la mia pietra fermi i loro proiettili!», proclama una nonnina lanciando in aria il sasso della prossima Intifada. Intendiamoci: solo un cieco può negare le sofferenze dei palestinesi. Ma negare quelle degli ebrei non restituisce la vista. Settant’anni di terrorismo antisemita, massacri di civili israeliani sugli autobus e nei locali, il lavaggio del cervello ai «martiri» e alle loro famiglie, i missili hezbollah sui kibbutz di confine, una guerra di sopravvivenza che dal 1948 lo Stato israeliano deve combattere solo per restare sulle cartine geografiche: nel «cancro Israele» tutto questo non pare compreso. Ora, che un film simile possa essere proiettato in una scuola sia pure fuori orario di lezione (era in programma per domani al «Quintino Sella» di Biella) è già un’idea bizzarra. Ma che possa godere addirittura del patrocinio della locale sezione dell’Anpi (la «Valle Elvo e Serra»), è sconcertante. L’happening antisemita viene bloccato dalla Provincia, che sulle scuole è competente. Ma la presidente delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, scrive il suo sdegno a Carlo Smuraglia: «Fatto gravissimo». Il presidente dell’Anpi nazionale le risponde con molta cautela: «Una sezione non si identifica con l’Anpi… manifestazioni di disprezzo e odio ritengo non servano mai a nessuna causa». Non «servono», e basta? È la stessa grande cautela con cui ancora l’anno scorso Smuraglia ha derubricato a «piccola macchia» la consueta, vergognosa contestazione del 25 aprile contro la Brigata Ebraica (pur ammonendo che «chi non accetta gli ebrei ignora la storia», e ci mancherebbe).
La mutazione dell’associazione
Tanti equilibrismi si spiegano anche con la mutazione genetica dell’Anpi, decisa al congresso di Chianciano del 2006 per ovvi motivi di anagrafe e sopravvivenza. L’associazione si è aperta a sinistra, riguadagnando nei tre anni successivi trentamila iscritti tra i «giovani antifascisti», schiudendosi a istanze nobilissime della nostra democrazia ma accentuando anche il suo carattere di fazione (la guerra di liberazione fu viceversa unitaria e sfociò non a caso nel Cln): un marchio prezioso, insomma, che può coprire però identità diverse. Una di queste identità appartiene a quella sinistra che tra una democrazia pur imperfetta come Israele (addirittura di originaria ispirazione socialista) e le dittature o le teocrazie che la circondano sceglie sempre le seconde, in nome di uno stantio riflesso antiamericano (appoggio peraltro, quello Usa, nient’affatto scontato alla nascita dello Stato kibbutziano). Il percorso tutt’altro che clandestino del film della Comizzoli ben ci descrive questo milieu. Dall’esordio, quasi due anni fa, in una prestigiosa sala comunale nella Napoli di de Magistris, al passaggio a Recanati (ancora sala comunale, sindaco pd) e via via in circoli Arci e ancora con l’appoggio di sezioni locali Anpi. Neppure stavolta l’Anpi locale demorde: il film, annuncia il sito biellese, si proietta comunque domani, stessa ora, ennesimo circolo Arci. L’odio non «servirà», come dice Smuraglia, ma è una droga potente: difficile smettere.
(Fonte: Corriere della Sera, 9 Marzo 2017)
#1Parvus
Una sezione non si identifica con loro…
Però avrei voluto vedere se proiettava un film di denuncia dei crimini partigiani, se prendevano in modo così blando la faccenda.