«Organizzazione anti israeliana»: gli Usa abbandonano l’Unesco
La delegazione ufficiale sarà sostituita da osservatori. Alla base della decisione americana la questione delle ripetute mozioni contro Gerusalemme sui luoghi sacri a ebrei, cristiani e musulmani definiti «patrimonio esclusivo dell’Islam». Anche Israele lascia
Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco. La decisione è stata motivata accusando l’organizzazione dell’Onu basata a Parigi di «inclinazioni anti israeliane».
Washington – ha affermato la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Heather Nauert – sostituirà la propria rappresentanza attuale con una «missione di osservatori». La decisione è stata comunicata dal segretario di Stato Rex Tillerson alla direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. Quest’ultima ha espresso “grande rammarico». E dopo Washington anche il governo israeliano ha annunciato che lascerà l’organizzazione: lo ha confermato in serata il premier Benjamin Netanyhau.
La questione di Gerusalemme
A spingere Washington alla clamorosa mossa sono state alcune decisioni recenti dell’organizzazione legata all’Onu. In particolare la risoluzione con la quale nel luglio scorso ha negato la sovranità di Israele sulla città di Gerusalemme vecchia e Gerusalemme est. In un vertice tenutosi a Cracovia l’Unesco aveva dichiarato che Israele è una «potenza occupante» sottolineato che i luoghi sacri per le religioni cristiana, ebraica e musulmana sono «patrimonio esclusivo dell’Islam». In precedenza era stato negato il legame culturale tra Israele e il Muro del Pianto. Sempre a Cracovia era stato riconosciuto quale «patrimonio dell’umanità» il sito della tomba dei Patriarchi a Hebron, definito tuttavia «sito palestinese». Decisione che il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva definito «surreale».
Niente soldi dal 2011
Gli Stati Uniti avevano smesso di finanziare l’Unesco dopo la sua decisione di includere la Palestina come membro nel 2011, ma avevano mantenuto un ufficio nel quartier generale dell’agenzia a Parigi, per cercare di continuare ad avere un peso politico sulle decisioni. «La decisione non e’ stata presa alla leggera», si legge in una nota del dipartimento di Stato, in cui si cita anche «la necessita’ di una fondamentale riforma» dell’agenzia. Pur uscendo dall’Unesco, gli Stati Uniti intendono continuare a lavorare con l’agenzia in qualita’ di «osservatore non membro», in modo da fornire «il punto di vista e l’esperienza americana».
La leadership del Qatar
Va aggiunto che il favorito per l’incaricato di nuovo segretario generale dell’Unesco e’ il qatariota Hamad Bin Abdulaziz Al Kawari, primo con 19 voti al secondo turno delle votazioni, davanti all’ex ministro della Cultura francese Audrey Azoulay, seconda con 13 voti, e all’attivista egiziana Moushira Khattab, terza con 12 voti (che gode del sostegno di Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti). Il Simon Wiesenthal Center con sede a Los Angeles ha accusato apertamente l’ex ministro della Cultura di Doha di antisemitismo. Il Qatar ha peraltro avuto un ruolo decisivo nelle ultime risoluzioni dell’Unesco che negano il legame ebraico con Gerusalemme ed Hebron. I candidati alla guida dell’Unesco devono ottenere il 50 per cento dei voti per sostituire la bulgara Irina Bokova: in mancanza del quorum, a partire da domani si procedera’ a maggioranza.
#1Emanuel Baroz
Le troppe distrazioni dell’Italia sull’Unesco
Dopo la decisione americana di rompere con l’agenzia per la cultura delle Nazioni Unite a causa della manifesta ostilità nei confronti di Israele
di Paolo Mieli
La decisione statunitense di lasciare, entro il 31 dicembre, l’Unesco (che non finanziavano più già dal 2011), a causa della sua comprovata ostilità allo Stato di Israele, non è manifestamente impropria e sarà utile, si spera, a puntare un riflettore sull’inesorabile deriva presa negli ultimi decenni dall’agenzia culturale delle Nazioni Unite. A partire dal 2018 gli Stati Uniti resteranno a Parigi dove ha sede l’Unesco come «osservatori», sia pure da «non membri». È una decisione presa in extremis, appena un attimo prima che sia nominato alla guida dell’Unesco stessa un esponente politico del Qatar, Hamad bin Abdulaziz Kawari, che, al primo voto per l’importante incarico, ha ottenuto il maggior numero di suffragi. E il Qatar — ricordiamolo — è da tempo identificato come uno dei quattro o cinque Paesi al mondo più inclini ad alimentare il fondamentalismo islamico. In Italia questo problema è poco avvertito ed è ipotizzabile che all’origine della nostra distrazione sia la generosità con la quale l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani si è sempre mostrato disponibile a investire nel nostro Paese. L’indulgenza italiana nei confronti del Qatar è iniziata ai tempi del governo presieduto da Mario Monti: l’economia — per usare un eufemismo — andava male e i soldi dell’emirato, in quell’emergenza, furono considerati benvenuti. Vanno inserite in questo quadro una serie di operazioni immobiliari e finanziarie in Italia.
Il Qatar ha acquistato grattacieli a Milano, un bel pezzo di Costa Smeralda, il gruppo Valentino, una parte del gruppo Cremonini, numerosi hotel di lusso. Oltre allo stanziamento di venticinque milioni di euro per la costruzione di oltre trenta moschee e centri islamici nel nostro Paese. Ai tempi in cui presidente del Consiglio era Matteo Renzi, l’ex ministro della Cultura del Qatar, il succitato al Kawari, fu ricevuto dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini per un accordo con l’università romana di Tor Vergata che gli conferì una laurea «honoris causa» (concessa in maniera assai affrettata, tra i mugugni degli accademici più sensibili al decoro del loro ateneo). Un anno fa Kawari incontrò di nuovo Stefania Giannini e stavolta anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan assieme a quello della Cultura Dario Franceschini. Quest’«operazione simpatia» (accompagnata dalla promessa di nuove generose elargizioni) ha fatto sì che l’Italia lo abbia sempre appoggiato per l’elezione a Direttore generale dell’Unesco come successore dell’attuale direttrice, la bulgara Irina Bokova. Shimon Samuels, direttore del Centro Wiesenthal, a questo punto ha ricordato alla distratta Italia e agli altri sponsor del discusso uomo politico che fu proprio Kawari a far designare nel 2010 — sempre dall’Unesco — Doha «capitale della cultura araba»: dopodiché nella fiera internazionale del libro della principale città del Qatar furono esposti ben trentacinque titoli antisemiti tra cui nove edizioni dei Protocolli dei Savi di Sion e quattro del Mein Kampf. Kawari — come proprio ieri ha ricordato sul Foglio Giulio Meotti — ha per di più curato (firmandone la prefazione) Jerusalem in the Eyes of the Poets. Un libro che — avvalendosi di una testimonianza di Roger Garaudy, l’ex comunista francese convertito all’islamismo più radicale — denuncia il «controllo degli ebrei» (sottolineiamo: qui si parla di ebrei, non di israeliani) su media e case editrici degli Stati Uniti. Quanto a Israele, il volume prefato da Kawari stabilisce che lo Stato ebraico «è responsabile per la guerra civile in Libano, per la prima e la seconda Guerra del golfo, per l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, per il caos in Sudan e in Egitto».
Ma come è possibile che personaggi del genere siano anche solo presi in considerazione per guidare l’Unesco? La risposta è sempre la stessa. Il Qatar ha «donato» all’Unesco dieci milioni di dollari (non è il solo: l’Arabia Saudita ne regalò venti e il re Abdullah fu immediatamente insignito della medaglia per «la cultura del dialogo e della pace»). Per quel che riguarda l’Italia, poi, dobbiamo considerarci recidivi in questo genere di impresa: in passato sostenemmo la nomina a quello stesso incarico del-l’esponente egiziano Farouk Hosni. Hosni poi saltò allorché vennero rese note alcune sue prese di posizione inequivocabilmente antiebraiche (tra l’altro come ministro della Cultura si era detto disponibile a bruciare «di persona» libri israeliani nel caso qualcuno avesse pensato di introdurli nella biblioteca di Alessandria e aveva fatto bandire dalle sale cinematografiche il film «Schindler’s List»).
Può bastare? No. C’è un problema specifico tra Unesco e Israele. Esattamente un anno fa l’Unesco ha approvato una mozione in cui il Muro del Pianto non veniva più identificata con il nome ebraico «Kotel» ma con quello arabo «al Burak». A un tempo la Spianata delle moschee di Gerusalemme considerata sacra sia dai musulmani che dagli ebrei veniva chiamata solo con il nome islamico Al Haram Al Sharif. Ne è venuta fuori una tempesta intercontinentale. Persino la Bokova, protestò: «L’eredità di Gerusalemme è indivisibile, e ciascuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della sua storia e del rapporto con la città», disse. Anche l’Italia, che al momento del voto su questa imbarazzante risoluzione si era astenuta, fu costretta a rivedere le proprie posizioni. Si dirà: sono controversie che hanno origini recenti e hanno colto i nostri governi impreparati. Non è così. La guerra dell’Unesco contro Israele iniziò nel 1974 quando lo Stato ebraico fu cacciato (per poi essere riammesso due anni dopo) dall’agenzia, all’epoca guidata dal senegalese Amadhou Mahtar M’Bow. E raggiunse l’apice l’anno passato quando, assieme alla non riconducibilità a Israele del Muro del Pianto, in una riunione a Cracovia, l’Unesco definì Israele «potenza occupante» e la Tomba dei Patriarchi di Hebron un sito «palestinese». Qualcuno sosterrà adesso che la decisione americana di rompere con l’agenzia per la cultura delle Nazioni Unite è stata precipitosa. Non è così. Forse servirà, anzi, a impedire all’ultimo minuto utile che l’uomo politico qatariota sia chiamato a guidare l’organizzazione che per conto delle Nazioni Unite dovrà valutare i danni arrecati da Daesh a Palmira senza ricondurne, per qualche via tortuosa, la responsabilità allo Stato ebraico.
http://www.corriere.it/opinioni/17_ottobre_13/unesco-troppe-distrazioni-e36a1f5a-af81-11e7-be55-08dc7ea09b29.shtml
#2Emanuel Baroz
Unesco, Usa e Israele usciranno dall’organizzazione
http://www.progettodreyfus.com/unesco-usa-israele/
#3Emanuel Baroz
Audrey Azoulay è la nuova direttrice generale dell’Unesco. Decisivi i voti di Egitto e Italia | di Ilaria Myr
http://www.mosaico-cem.it/articoli/attualita/audrey-azoulay-unesco
#4Emanuel Baroz
Gli Usa fuori dall’Unesco: “Pregiudizi anti-Israele”
di Bernardino Ferrero
E’ la seconda volta che gli Stati Uniti lasciano l’Unesco, il braccio culturale delle Nazioni Unite che con il passare degli anni è diventato una sentina di antioccidentalismo, di odio verso l’Occidente, fino alla recente e sciagurata decisione di dichiarare il Monte del Tempio, compreso il Muro occidentale, cioè i luoghi sacri dell’ebraismo e del cristianesimo a Gerusalemme, luoghi santi dei musulmani e solo dei musulmani, la “Spianata delle moschee”, come la chiamano.
L’ultimo di una lunga serie di “pregiudizi anti-israeliani”, come spiegano gli Usa annunciando il passo indietro dall’organizzazione, che però, nell’era Trump della diffidenza verso che fine fanno i soldi che versiamo alle grandi organizzazioni internazionali, ha anche una spiegazione economica (gli arretrati da versare) e la mancanza di “riforme fondamentali alla organizzazione”. Trump, che nei giorni scorsi aveva annunciato che il passaggio della ambasciata Usa a Gerusalemme per ora resta in stand-by, provocando non pochi malumori israeliani, adesso lancia un altro assist a Netanyahu, che tante volte ha denunciato l’atteggiamento dell’Unesco verso il suo Paese.
Trump come Reagan, l’altro presidente che decise di far uscire gli Usa dall’organizzazione onusiana. Trump che ancora una volta dà un segnale fortissimo di discontinuità con i suoi predecessori (Obama si era limitato a ridurre i fondi americani all’organizzazione) assestando un altro colpo al politicamente corretto nella sua versione più ‘palestinocratica’.
https://www.loccidentale.it/articoli/146137/gli-usa-fuori-dallunesco-pregiudizi-anti-israele
#5Emanuel Baroz
Ora per farsi perdonare l’Unesco dovrebbe dichiarare Israele patrimonio dell’umanità
di Claudio Cerasa –
Trump, per una volta, ha fatto una cosa di buon senso, e resta un mistero perché ci siano ancora così tanti paesi di buon senso, come l’Italia, che di fronte a un’agenzia delle Nazioni Unite che definisce Israele una “potenza occupante” a Gerusalemme e che assegna all’islam e ai palestinesi la sovranità della tomba dei patriarchi a Hebron, dove sono seppelliti Isacco, Giacobbe e alcune delle loro mogli, negando i legami con la tradizione ebraica di quello che è considerato il secondo luogo più sacro dell’ebraismo, restino lì fermi senza fare nulla.
L’Unesco, da anni, è la capofila di una Shoah culturale contro lo stato ebraico e ci sarebbe solo una condizione affinché possa dimostrare di aver cambiato direzione: dichiarare Israele patrimonio dell’umanità. Se si volesse davvero dare un senso alla sua spallata (giusta) all’Unesco forse converrebbe partire da qui.
(Fonte: Il Foglio, 13 Ottobre 2017)