Hebron 1929: scene da un massacro
Vent’anni fa un ebreo di circa 70 anni entrò in casa di Gershon Gera, studioso della terra d’Israele e delle sue fotografie, e pose sul tavolo un pacco di fotografie avvolte in una vecchia carta marrone. “Saprai che cosa farne”, disse l’uomo, che rifiutò di identificarsi o di spiegare da dove venissero le foto e si precipitò fuori dalla casa. Quando Gera aprì il pacco rimase attonito.Dentro c’erano 111 foto di cadaveri, vittime del massacro di Hebron del 1929, scattate poco dopo la morte, oltre alle foto dei feriti. Sul retro di ogni foto c’era il nome della vittima, l’età e il luogo in cui era stata ricoverata (se lo era stata), oltre ad altri particolari.
Gera mise da parte il materiale. Essendo un ricercatore serio, ha spiegato qualche giorno fa la moglie Shulamit, non poteva pubblicare materiale la cui origine fosse ignota. Qualche mese fa, sette anni dopo la morte di Gera, la moglie ha trasferito la collezione di fotografie a Noam Arnon, uno dei più famosi restauratori della comunità ebraica di Hebron, A sua volta impegnato in ricerche sulla comunità ebraica della città nel corso delle generazioni. Oggi le foto si possono vedere sul sito Internet della comunità ebraica di Hebron, con la seguente avvertenza: “Foto estremamente dure. Non è facile guardarle”.
Per Arnon e per la comunità ebraica di Hebron, si tratta di un’ulteriore documentazione dell’orrore che costituisce parte del diritto di ricostituire la comunità ebraica della città. “Oltre all’antico patrimonio culturale dei patriarchi e al lascito delle comunità ebraiche che hanno vissuto qui per centinaia d’anni – spiega Arnon – facciamo costantemente fronte alla sacra impresa di riscattare il sangue di queste disgraziate vittime, costruendo e sottolineando che questa comunità, che i massacratori del 1929 cercarono di annientare, continua ad esistere. I miei amici ed io stiamo realizzando in parte la loro volontà e riportando in vita questo posto”.
Arnon e il Comitato per la comunità ebraica di Hebron stanno programmando un grande evento l’anno prossimo per ricordare l’80esimo anniversario del massacro. Le foto che hanno ricevuto dalla famiglia Gera consentiranno loro di rendere noto il massacro del 1929 anche al di là dell’ambito di Hebron: la collezione che lo sconosciuto lasciò sulla scrivania di Gera documenta anche le stragi a Motza, Tel Aviv, Safed e altrove in Israele.
Questo materiale aiutò Arnon ad abbinare le foto dei cadaveri con quelle delle stesse persone quando erano in vita, correggendo alcuni errori in precedenti resoconti che erroneamente attribuivano al pogrom Hebron le vittime di tumulti in altri luoghi. Un esempio, dice Arnon, è il libro di Rehavam Ze’evi sul massacro a Hebron che conteneva foto di parecchie delle vittime, come Yaakov Albucher o Yitzhak Shimon, e le elencava come vittime uccise a Hebron mentre in realtà erano stati uccisi a Gerusalemme e dintorni. Arnon osserva che nel cimitero di Rumeida, dove sono sepolte alcune delle vittime del massacro di Hebron, ci sono due tombe contenenti cadaveri non identificati. “Forse questa collezione, combinata con altro materiale, ci porterà più vicino alla soluzione del mistero”, dice.
Poiché ricollegano direttamente l’odierna comunità ebraica nella Città dei Patriarchi con la comunità di un tempo, i residenti ebrei di Hebron incoraggiano la ricerca e le pubblicazioni sulla storia della città e dei suoi abitanti ebrei. Recentemente sono stati pubblicati due libri che possono essere interessanti anche per coloro che non si identificano necessariamente con la ricostituzione odierna della comunità ebraica di Hebron.
Il primo è il libro di Arye Klein “Hatzerot B’Ir Ha’avot” (I cortili nella città di Hebron), che tratta in parte della sezione occidentale della strada del mercato nella città vecchia, descrivendo i suoi sviluppi storico-geografici, raccontando la storia degli ebrei che ci vivevano. Klein, guida turistica ed esperto di studi israeliani che vive a Hebron da 23 anni, cita la storia sconosciuta di due fratelli, Alexander Zisha ed Arye Leib, della famiglia Hoisman, che lasciarono l’Ungheria nel 1853, andarono a Gerusalemme e, dopo 13 anni, si stabilirono a Hebron. I due fratelli erano membri della setta hassidica Karlin e, poiché non appartenevano a Chabad Hasidism, non si stabilirono nel “Cortile ebraico” di Hebron. La casa di Alexander Zisha era nota come Me’arat Hamachpela (Tomba dei Patriarchi) per via della sua struttura. I suoi discendenti fecero da emissari del rabbino Chabad, Shalom Duber, per acquistare Beit Romano, che oggi ospita la yeshiva (scuola talmudica) Shavei Hevron. Klein descrive una situazione di vicinanza e buoni rapporti tra gli arabi e gli ebrei di Hebron, come i legami tra Alter Rivlin, che parlava arabo e siriaco-aramaico, e fu nominato rappresentante ebraico al consiglio comunale di Hebron.
Il secondo libro è “Shikhehat Hevron” (“L’abbandono di Hebron”), pubblicato da Yona Even. Si tratta sostanzialmente di una collezione fotografata di articoli pubblicati 70 anni fa da suo padre, insegnante e giornalista, Eliyahu Yehoshua Levanon. Levanon registrò le sue impressioni durante la sua permanenza come insegnante alla scuola ebraica di Hebron. “E’ molto difficile per un ebreo svolgere il lavoro di giornalista a Hebron”, scriveva Levanon negli anni ‘30 e raccontava dello “sdegno dei mendicanti per le tangenti alla Tomba dei Patriarchi” e del “pericolo di prendersi una pietra in testa”.
“Prima dei tumulti del 1929 – annotò in un’altra occasione – gli insegnanti andavano a lavorare a Hebron con entusiasmo. Da allora hanno evitato di andarci e Hebron è diventata simile a una città proibita”.
(Da: Ha’aretz, 23.09.08 )
Nella foto: Sangue sulle scale a Hebron durante il pogrom anti-ebraico del 1929
Una ulteriore testimonianza del massacro di ebrei avvenuto a Hebron nel 1929 la potete trovare qui
#1GIANFRANCO FIORE
Una brutta storia da approfondire.
#2Andrea Viel
non ho trovato il sito della comunità di Hebron e non ho trovato archivio foto… potete inviarmi links?
grazie.
Shabbat Shalom
#3Emanuel Baroz
@Andrea Viel: http://www.hebron.com/
#4Emanuel Baroz
@Andrea Viel: http://www.aish.com/jw/id/53789612.html
#5Emanuel Baroz
@Andrea Viel: http://www.jpost.com/Features/In-Thespotlight/This-Week-in-History-The-1929-Hebron-Massacre
#6Emanuel Baroz
27 dicembre 2004
Un incontro con il figlio di un sopravissuto al pogrom di Hevron (1929)
Di ritorno da Tel Aviv a New York il 21 dicembre in un aereo dell’El Al, mi trovo seduto vicino a un uomo più anziano di me con una barbetta nera (certamente tinta) con un taglio da vecchio lupo di mare. Dopo un po’ cominciamo a parlare. Si chiama Yosef Mishael. Mi spiega che Mishael, con Hanania e Azaria, era il nome di uno dei compagni di Daniel nella prigionia babilonese. Yosef è in viaggio da Tel Aviv a Portorico a trovare dei parenti. È nato a Tel Aviv e ha lavorato per molti anni nella marina mercantile israeliana girando tutto il mondo. La famiglia della madre ha abitato a Hevron per otto generazioni. Il padre Zecharia Mishael è morto alcuni anni fa a 97 anni e lasciò Hevron dopo il famoso pogrom quando decine di ebrei furono trucidati dagli arabi. Lavorava a Hevron come appaltatore edile per il governo mandatario britannico e di venerdì per fare una mizvà andava alla Yeshiva per fare le riparazioni necessarie all’edificio.
La Yeshivà di Hevron era stata fondata all’inizio degli anni Venti ed era composta da studenti venuti dalla Yeshiva di Slobodka nella Polonia lituana. Alcuni erano scapoli. Altri erano li con le famiglie. Il loro arrivo aveva aumentato il piccolo contingente ashkenazita della popolazione ebraica di Hevron che era stata prevalentemente sefardita.
Yosef racconta che suo padre gli disse che venerdì 23 agosto 1929, mentre lavorava nell’edificio della Yeshiva, un conoscente arabo lo venne ad avvisare che la situazione stava diventando “calda” ed era bene correre ai ripari. Avvisò subito gli studenti che, immersi negli studi, non lo presero molto sul serio. Dopo un po’ cominciarono a volare sassi verso l’edificio della yeshiva e Zecharia fece chiudere e sprangare le porte che erano di ferro. Quando vide che gli arabi stavano cercando di aprire le porte con il piede di porco disse agli studenti che bisognava scappare o prepararsi a difendersi. Vedendo che non riusciva a far capire a questi studenti europei la gravità della situazione decise di nascondersi. Andò in cucina dove sapeva che c’era una botola nel pavimento che copriva un pozzo e si nascose li con l’acqua che raggiungeva la cintura. Dopo un po’ senti le voci degli arabi che erano riusciti a sfondare le porte. Gli studenti della yeshiva vennero sgozzati con i coltelli come degli animali. Lui uscì dal pozzo il giorno dopo quando dei parenti lo vennero a cercare e senti le loro voci che lo chiamavano.
Il resto della famiglia fu salvato da una vicino di casa arabo che si mise di fronte alla porta e disse agli assassini che se volevano uccidere i suoi ospiti avrebbero dovuto uccidere lui per primo.
Yosef Mishael racconta che i suoi fratelli maggiori erano nati a Hevron. Lui era nato a Tel Aviv nel 1935 dopo che i suoi genitori avevano lasciato la città. Aggiunge: “Noi sefarditi abbiamo vissuto tra gli arabi e li conosciamo meglio degli ashkenaziti che hanno mandato avanti questo paese per tanti anni”. Secondo Yosef, gli ashkenaziti si sono illusi per molti anni e ancora si illudono che facendo concessioni e cercando il compromesso si possa fare la pace. E sbagliano perché “Gli arabi ti rispettano solo se sei forte”.
Degli atti individuali di sadismo commessi da arabi non si è mai letto molto sui giornali; gli israeliani fin dai tempi della guerra del 1947-48 non hanno mai menzionato atrocità nei loro comunicati ufficiali. Il motivo, spiegò Arthur Koestler nel suo libro “Promise and Fulfilment” scritto nel 1949 come cronaca della guerra dell’Indipendenza dello Stato d’Israele, era che “…la propaganda delle atrocità [commesse dai nemici] è efficace solo quando si riferisce ad atti accaduti a distanza sicura; altrimenti può diffondere il panico…”.
Dopo aver descritto la distruzione da parte degli arabi del kibbutz Sha’ar Hagolan, il Koestler scrive che in altri posti i cadaveri degli ebrei caduti nelle mani degli arabi furono spesso trovati castrati e con gli occhi tirati fuori. E queste atrocità non erano cominciate con la guerra: “Dai giorni delle prime moshavot quando un ebreo veniva trovato ucciso per la strada era stato quasi sempre mutilato”… “Il fatto è che non bisogna romantizzare il gentile selvaggio. La gentilezza disarmante e l’ospitalità della gente primitiva e il loro più o meno idillico modo di vivere hanno portato a una generale attitudine nostalgica nei loro confronti, passando in silenzio sul [loro] sadismo infantile…”.
Dal pogrom di Hevron sono passati ormai 75 anni. Anche se vogliamo dimenticare gli orrori del passato e sperare che si possa costruire una vita basata sulla democrazia e sulla coesistenza, le immagini delle mani di un arabo sporche del sangue di due ebrei che erano finiti per un tragico errore sulla strada che conduceva a Ramallah, gli sgozzamenti di Daniel Pearl in Pakistan e di altri in Iraq ci ricordano che la coesistenza pacifica è possibile solo con persone civili in paesi civili.
D. Grosser
http://yoni.ilcannocchiale.it/2004/12/27/un_incontro_con_il_figlio_di_u.html
#7HaDaR
http://www.hebron.com/english/
#8Gabriele
Del massacro di Hebron del 1929 abbiamo questa testimonianza:
“Rabbi Castel, di 69 anni, rabbi Zvi Dribkin, 67, e cinque giovani furono aggrediti, castrati e uccisi dopo torture disumane. Il panettiere Noach Immerman fu arrostito vivo su un fuoco all’aperto. … il rabbino di Zichron Yaakov… venuto a pregare a Hebron fu preso nel mezzo della preghiera… il suo cervello fu tirato fuori e la moglie uccisa facendole le budella in piccoli pezzi. Al farmacista Ben Zion Gershon, in sedia a rotelle … che aveva sempre aiutato molto la popolazione araba, furono tagliati il naso e le dita prima di essere ammazzato.Le sue figlie furono stuprate, torturate e uccise. Alla moglie tagliarono entrambe le mani e morì dissanguata all’ospedale di Gerusalemme…Menahem Segal, di due anni, fu decapitato.”
#9Daniel
Una storia terribile ormai dimenticata da molti, che invece andrebbe studiata e ristudiata